Corriere della Sera - La Lettura

Ariòma: uno spavento che si risolve bene Obrexi: albeggiare, nel senso di tirare tardi a letto al mattino ’O revuoto: il disordine collettivo e piacevole dei bambini El tisinàtt: frequentar­e il Ticino quando ancora l’acqua si poteva bere

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(Einaudi) mentre le sue poesie sono apparse su riviste come «L’Immaginazi­one» e «Atelier». «È il verbo con cui mia madre, quando vivevo in Sardegna, mi accoglieva in cucina al mattino quando mi svegliavo. Era un modo ironico per farmi capire che mi ero alzata tardi, quando mi diceva (e mi dice tuttora, quando torno a casa) “itt’e’, obrexiu? Si binti is carronis?”, che significa “e quindi, è sorto il sole? Si vedono i talloni?”. Così obrexi mi ricorda i giorni dell’adolescenz­a, quando ci si poteva alzare tardi. Ed è anche una traccia dei tempi in cui le persone giravano scalze».

‘o pernacchio

(la pernacchia, suono derisorio, ironico, volgare, simile a un rutto; dialetto napoletano). È il sostantivo prediletto da Gaetano Liguori (1950), compositor­e e pianista jazz, autore dell’autobiogra­fia Confesso che ho suonato e del recente Non sparate sul pianista. Viaggio nel cinema western (entrambi Skira). «I ragazzini imparano quel suono onomatopei­co che risulta devastante e fastidioso per chi lo subisce. L’autentico ’ o pernacchio rimbomba bene nei vicoli di Napoli. Con tutta la forza della rivolta sociale che troviamo nel romanzo L’oro di Napoli di Giuseppe Marotta e nell’omonimo film di Vittorio De Sica. In questo consiste l’antica saggezza di un popolo che ha saputo conquistar­e la medaglia d’oro della Resistenza per aver sconfitto i nazisti non solo a pernacchie».

picciu

(ansia, pensiero fisso; dialetto calabrese). La scelta di questo vocabolo viene dal poeta Alfredo Panetta, nato a Locri (Reggio Calabria) nel 1962, autore di varie raccolte di poesia dialettale, tra cui Petri ’i limiti («Pietre di confine») edita da Moretti & Vitali, e Na folia nt’è falacchi («Un nido nel fango») edita da Cfr edizioni e premio Pascoli sezione dialettale. « Non tornari tardu ca mi veni u picciu, era la frase ricorrente di mia mamma che declinava così la sua preoccupaz­ione per il figlio che usciva di casa. Il picciu è una forma di ansia costante, qualcosa che batte nella testa

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