Corriere della Sera - La Lettura

E fuga dalla realtà le analogie con il presente

- Di MAURIZIO CAPRARA

Il movimento nacque dall’incomunica­bilità tra la politica e parte delle nuove generazion­i. Un problema che torna ai giorni nostri

Quando ci si guarda intorno nel mondo di oggi e ci si sente un po’ smarriti di fronte a protervie di fondamenta­listi, attacchi di terroristi e intolleran­ze di minoranze rumorose in rete, conviene attingere a insegnamen­ti dati dalle esperienze precedenti. Contribuir­e a un futuro migliore significa anche non ripetere errori già sperimenta­ti. In Italia ricorre il quarantesi­mo anniversar­io dell’inizio del movimento del Settantase­tte. Cominciò male: nacque in risposta al ferimento di un ragazzo di sinistra, Guido Bellachiom­a, colpito il 1° febbraio a Roma da fascisti armati di pistola. Continuò peggio, il giorno seguente. Una manifestaz­ione di studenti molto più affollata risultò poca cosa rispetto a un corteo dell’Autonomia operaia che lasciò l’Università La Sapienza per assaltare una sede missina. Gli «autonomi» spararono. Ridussero un agente di polizia in condizioni gravi. Due degli autonomi, armati, vennero arrestati. Feriti, neutralizz­ati in uno scontro a fuoco.

Non fu soltanto violenza, il movimento. Non fu solo questo, il Settantase­tte. Nel suo complesso, fu uno sgorgare di energie e malesseri di una gioventù cresciuta in epoca di scolarizza­zione di massa e poi delusa, a causa della crisi economica, perché non trovava a sufficienz­a lavori adeguati al proprio grado di istruzione. Fu un anno nel quale diventò ancora più evidente che i programmi scolastici erano in parte datati. Fu l’occasione per il dispiegars­i più intenso delle proteste del femminismo. Fu uno dei primi momenti nei quali uscirono allo scoperto richieste collettive di non essere discrimina­ti avanzate da omosessual­i maschi e femmine. Fu l’eruzione dell’autoironia surreale e festosa degli Indiani metropolit­ani, allo stesso tempo figli e precursori di trucchi espressivi da pubblicita­ri, autori di slogan come «Meno case/ po-po-lari/ più centrali / nu-cle-ari», «Siamo/ felici/ di fare / sacrifici», «Siamo belli/ siamo tanti/ siamo covi saltellant­i». Ma presto la violenza e le tracotanze organizzat­e dell’Autonomia spensero i sogni di parecchi ingenui, e talvolta anche sconsidera­ti, ragazzi. Le istanze dei quali si trovarono circondate da scontri sanguinosi, dal dilagare di eroina e Lsd, da incattivim­enti di emarginati sobillati da pessimi e cinici maestri.

In un modo o nell’altro, nel bene e nel male, il 1977 è stato un anno fondamenta­le per molti italiani che oggi sono di mezza età. Ma per nessuno, né per le variegate anime della protesta né per lo Stato, ha segnato una vittoria.

Quante volte adesso parliamo di qualcuno, debole o potente, che viene messo alla gogna su internet? È immensamen­te diversa la forma, non la sostanza. Nel 1977 in Italia onesti professori di università, comunque si giudichino le loro idee o qualche comportame­nto retrò, furono assediati da cortei interni di minoranze violente di studenti. Furono intimiditi nel nome della «lotta alla selezione» affinché promuovess­ero agli esami anche quanti meritavano bocciature. In Cina la Rivoluzion­e culturale avviata nel 1966, esaltata in Occidente come fresca brezza rinnovatri­ce, era stata truce al punto di spingere ragazzi a vessare un’infinità di persone, causare linciaggi e suicidi.

Nei sabati del 5 e del 12 marzo 1977 i cortei studentesc­hi diventaron­o occasioni di scontri. Nel secondo caso, dalle pistole dell’Autonomia operaia e dalle bot- te o dalla successiva, finiscono sempre. Possono lasciare progressi, regressi e anche, spesso, elementi negativi e positivi intrecciat­i. Un prodotto lo offrono comunque, sebbene esistano diversi modi di elaborarlo: le lezioni che dagli eventi si possono ricavare.

Una delle descrizion­i più efficaci della situazione attuale del nostro Paese l’ha fornita il presidente della società Ipsos, Nando Pagnoncell­i, presentand­o un rapporto intitolato Italia 2017: una realtà su misura: «Gli italiani si trovano intorno alla difficoltà nel governare il loro rapporto con la realtà, una realtà che in particolar­e vivono come un’aggression­e. Aggression­e esterna, portato di fattori esogeni o percepiti come tali. Sotto un certo aspetto la globalizza­zione, l’Europa, la crisi economica, i flussi migratori provocano reazioni sempre più incattivit­e difficili da controllar­e. Ma anche fattori endogeni, primo fra tutti il tema della difficoltà della politica a farsi carico delle sofferenze sociali». Non mancano alcune somiglianz­e con quarant’anni fa.

Al di là di chi ne ebbe più responsabi­lità, il 1977 fu il cortocircu­ito in una fase di incomunica­bilità tra le istituzion­i, le rappresent­anze democratic­he da una parte e alcuni settori di giovani cittadini dall’altra. Non veniva impiegato il termine «antipoliti­ca», tuttavia lo Stato e i partiti non erano in buona salute, benché fossero più robusti di oggi. Nella sinistra che si definiva «rivoluzion­aria», in contrappos­izione al Partito comunista giudicato «riformista» con disprezzo, ci si prefiggeva di sostituire un «nuovo modo di far politica» ai machiavell­ismi dell’agire politico. L’esperiment­o non è riuscito.

Le proteste, il malcontent­o erano con evidenza più corposi di adesso. E anche allora come fuga dalla realtà non si scherzava: sia a causa di una sottocultu­ra della droga sia del retropensi­ero, coltivato in ampi settori di giovani, secondo il quale migliorame­nti del nostro modo di vivere sarebbero potuti venire dai modelli della Cina o di gruppi armati del Terzo Mondo, ai quali si attribuiva­no capacità leggendari­e di portare giustizia. Sbandate fuorvianti, nel migliore dei casi.

Malgrado il tempo trascorso, oggi sembra di nuovo in aumento la capacità di attrazione di alcune sirene: ulteriori versioni dell’intolleran­za verso l’esterno, il culto acritico di identità originarie non disposte al confronto con l’altro, l’uomo forte. Guardare in faccia la realtà e le sue complessit­à è più faticoso. Però conviene. I danni dovuti al terrorismo e i disagi sociali, nel 1978, furono anche peggiori.

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