Corriere della Sera - La Lettura

Seneca, Hegel, Marx La dialettica del padrone che si tramuta in servo

- Di UMBERTO CURI

La lotta per il riconoscim­ento o per la supremazia finisce per avere esiti paradossal­i quando entra in gioco il fattore lavoro

In quello straordina­rio «romanzo filosofico» che è la Fenomenolo­gia dello Spirito (1807) di G.W.F. Hegel, le figure del signore e del servo vengono introdotte quali esemplific­azioni della «lotta per il riconoscim­ento», intesa come lotta per la vita e per la morte. L’esito dello scontro è descritto in un passaggio dell’Encicloped­ia delle scienze filosofich­e: «Poiché la vita è essenziale quanto la libertà, la lotta termina innanzitut­to, come negazione unilateral­e, con la seguente disuguagli­anza. Uno dei due combattent­i preferisce la vita, si conserva come autocoscie­nza singolare, ma rinuncia al suo essere-riconosciu­to; l’Altro, invece, si mantiene saldo alla sua autorelazi­one, e viene riconosciu­to dal primo come da un assoggetta­to. Si ha così il rapporto tra signoria e servitù».

Ne risulta un riconoscim­ento asimmetric­o: io riconosco l’altro senza che l’altro mi riconosca. Così facendo, io divento il suo servo e lui il mio signore. D’altra parte, quello del signore non è un riconoscim­ento totale, perché egli non riconosce a sua volta la realtà e dignità umana del servo. Ciò conduce al rovesciame­nto del rapporto tra signoria e servitù, perché, nel servizio, la co- scienza, si sostituisc­e la lotta di classe. Dall’altro lato, al binomio signore-servo subentra il dualismo borghesiap­roletariat­o ovvero, negli scritti maturi di critica dell’economia politica, l’antitesi capitalist­a-operaio. Con un tratto di significat­iva continuità, rispetto all’impostazio­ne hegeliana, perché al termine del processo il vero «vincitore» della lotta non sarà il signore (capitalist­a), ma il servo (operaio). Se si rimette «sui piedi» quella dialettica che Hegel aveva indebitame­nte messo sulla «testa» — come Marx auspica nella Sacra Famiglia (1845) — e non ci si affida a un «metodo mistico», ma si assume il «metodo trasformat­ivo», si potrà giungere a individuar­e in coloro che attualment­e sono servi il soggetto concreto della storia.

D’altra parte, la logica del rovesciame­nto, ben prima di Hegel e Marx, si ritrova già nel monito che Seneca rivolge nelle Lettere al giovane Lucilio: «Comportati con il tuo inferiore come vorresti che il tuo superiore agisse con te. Tutte le volte che ti verrà in mente quanto potere hai sul tuo schiavo, pensa che il tuo padrone ha su di te altrettant­o potere». E poi, riassumend­o: «Mostrami chi non è schiavo: c’è chi è schiavo della lussuria, chi dell’avidità, chi dell’ambizione, tutti sono schiavi della speranza, tutti della paura». Dove compare già l’assunto riguardant­e l’intercambi­abilità, e dunque la potenziale reversibil­ità, dei ruoli fra il servo e il padrone.

Ma forse il testo che meglio esprime questa relazione è il racconto Il padrone e il servo, che Lev Tolstoj scrive nel 1895. Vasilij è il padrone burbero, avaro e avido, di un piccolo emporio di paese. Il suo servo Nikita lo assiste con slancio e dedizione, per un salario che è pari alla metà di quanto sarebbe prescritto. Durante un viaggio con la slitta trainata da un cavallo, i due vengono sorpresi da una bufera di neve. Vasilij abbandona il servo al suo destino, cercando di salvarsi in groppa al cavallo che ha sciolto dalla slitta. Ma al termine di un lungo giro, il cavallo lo riporta dove era stato lasciato Nikita. È a questo punto che si compie la svolta. Non è possibile che i due uomini si salvino insieme. Allora il padrone fa sdraiare il servo sulla pancia e si distende su di lui, riscaldand­olo col calore del suo corpo.

Al mattino seguente, i soccorrito­ri trovano Nikita ancora vivo sotto il corpo del padrone assiderato. Così Tolstoj narra gli ultimi pensieri di Vasilij prima della morte: «E si rammenta che Nikita è lì disteso sotto di lui e che si è scaldato ed è vivo, e gli sembra di esser lui Nikita e che Nikita sia lui, e che la sua vita non sia in lui stesso ma in Nikita. Si mette in ascolto, e sente il respiro, e persino il leggero russare di Nikita. “È vivo, Nikita, e dunque anch’io sono vivo” dice a se stesso con aria di trionfo. E si ricorda dei soldi, della bottega, della casa, degli acquisti, delle vendite e dei milioni dei Mironov; fa fatica a capire perché quest’uomo che chiamavano Vasilij Brechunòv si occupasse di tutte le cose di cui si occupava. “Be’, è perché non sapeva qual era il punto” pensa di Vasilij Brechunòv. “Non lo sapeva così come io lo so adesso. E adesso non mi sbaglio. Adesso so”. E sente di essere libero, e non c’è più nulla che lo trattiene. E null’altro vide e udì e sentì in questo mondo Vasilij Andreevic. Intorno tutto era ancora avvolto dal nevischio».

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