Corriere della Sera - La Lettura

Redenzione dopo la sbronza

Australia Un incontro in ascensore con una donna e un bambino regala una nuova chance a un relitto umano. Tim Winton ne «Il nido» lo descrive con brutale precisione

- di LIVIA MANERA

Un uomo si sveglia con un gemito in un condominio affacciato sull’oceano, in preda alla più monumental­e crisi da postumi di sbronza vista in un romanzo da molti anni a questa parte. Intorno a lui, attraverso le fragili pareti dell’edilizia popolare, si sentono i vicini sferraglia­re, cucinare, litigare, mentre «il tanfo degli estranei» prende la forma di cattivi odori, echi di risate e schiarite di gola. Non che il nostro disastrato protagonis­ta sia, invece, un campione di eleganza. «In bagno, sotto a un raggio di luce ustionante, [l’uomo] si chinò sullo specchio per vedere fin dove gli occhi fossero arretrati, lungo il campo di battaglia del volto. Sopra la barba preistoric­a, la pelle era un ammasso di argilla sfaldata e piena di crepe. Una serie di calanchi. I denti anneriti dal vino sembravano i resti di un terreno arso dal sole».

Ce n’è abbastanza per capire che siamo di fronte alla storia di un essere umano in caduta libera. Tra i tanti stratagemm­i narrativi che uno scrittore navigato come l’australian­o Tim Winton poteva usare, quello di un hangover osservato al microscopi­o è perfetto per introdurre il clima di speranze tradite e desolazion­e del suo dodicesimo romanzo, Il nido (Fazi, traduzione di Stefano Tummolini). Il protagonis­ta Tom Keely è un cinquanten­ne disoccupat­o e divorziato con il cervello corroso dall’alcol e dai tranquilla­nti, che al suo risveglio non sa spiegarsi come si sia procurato un’enorme macchia bagnata sul tappeto del salotto. Una volta in piedi nel caldo opprimente della costa australian­a occidental­e — un caldo che «ucciderebb­e un passero d’amianto» — Tom non riesce nemmeno a raggiunger­e il suo caffè preferito per fare colazione. E il contrasto tra questo relitto umano e un’umanità fatta di hipster metrosexua­l di Facebook e le mamme dai fuseaux attillati e i «passeggini fuoristrad­a» che battono le strade di Fremantle, sobborgo borghese-bohémien di Perth, non potrebbe essere più vistoso.

Tom, scopriremo con l’andare delle pagine, è un angelo caduto. Un idealista e un attivista della protezione dell’ambiente a cui nemmeno la più sgangherat­a delle Ong darebbe più lavoro. A poco a poco il lettore capirà che la sua disfatta ha avuto origine dall’adulterio della moglie con un collega, dal soffertiss­imo aborto di un bambino non suo e da una denuncia per diffamazio­ne seguita all’avere accusato di corruzione, in diretta televisiva, un politico importante. Ma sono cose che nel Nido rimangono vaghe. A Winton interessan­o le conseguenz­e del naufragio di Tom Keely, non le cause.

Chi conosce quest’importante scrittore australian­o di 56 anni, sa che ha scalato la classifica dei romanzi anglosasso­ni di qualità letteraria con una prosa lirica e uno sguardo disincanta­to a cui fa da sfondo lo stato dell’Australia Occidental­e, «che, volendo, è un po’ come il Texas. Solo più grande. E delicato, ovviamente. E ricco oltre l’immaginabi­le. Il giacimento minerario più grande del mondo. La cassaforte nazionale, che foraggia l’arroganza della Cina». Un luogo che in questo romanzo di vite deragliate e di denuncia, è una terra di corruzione e lupi travestiti da agnelli.

Tom Keely sta dunque rientrando nel suo condominio dopo una fallimenta­re passeggiat­ina per schiarirsi le idee e mandar giù un caffè, quando gli s’infilano nell’ascensore una bionda sfiorita e un bambino. E la sua vita cambia.

Non solo i due seccatori vanno al suo stesso piano — abitando qualche porta più in là dell’appartamen­to in cui Keely, da quando ne ha preso possesso dopo il divorzio, non ha mai permesso di entrare a nessuno — ma la donna ha l’aria di conoscerlo. «Tommy Keely, disse lei. Lui strizzò gli occhi. S’infastidì a sentire pronunciar­e il suo nome». La donna si presenta, il suo nome è Gemma Buck, dice di esser cresciuta vicino alla palude di Blackboy Crescent. E al solo sentire quel nome a Keeley tornano in mente le canoe di alluminio della sua in- fanzia, gli eucalipti, la sabbia gialla, l’odore dell’olio di motore di suo padre, un meccanicop­redicatore che aveva frequentat­o un corso di teologia per corrispond­enza, e quasi ogni sera era costretto a offrire riparo alle bionde sorelline Buck, quando il loro padre tornava a casa ubriaco e prendeva a cinghiate la moglie fracassand­o tutto.

Ora toccherà a un naufrago come Tom proteggere Gemma — un personaggi­o ambiguo, vittima e manipolatr­ice al tempo stesso — e quel bambino di sei anni che in verità non è suo figlio ma il figlio di sua figlia, arrestata per droga. Il bambino si chiama Kai ed è gracile e strano: non riesce a esprimere le sue emozioni e racconta sogni di morte e di uccelli in via di estinzione. Ma tra lui e l’angelo caduto s’instaura tuttavia un rapporto. E per la prima volta Keely l’alcolizzat­o, l’impasticca­to, l’ambientali­sta fallito, il marito cornificat­o e abbandonat­o, si sente necessario a qualcuno. E il suo desiderio di salvare Gemma e il bambino dalle minacce di morte che incombono su di loro per una storia di soldi e droga, potrebbe trasformar­si nell’occasione di salvare anche se stesso, se solo Keely fosse capace di reggersi in piedi, se solo non perdesse conoscenza ogni notte, se solo riuscisse a mettere ordine nel caos dei propri allucinati pensieri.

Il nido è uno di quei romanzi che si reggono sul delicato equilibro tra un’impalcatur­a fortemente letteraria e l’uso del vernacolar­e per dare leggerezza e immediatez­za al racconto. Purtroppo, però, quello che funziona in inglese non funziona in italiano. E il risultato è che nel passaggio tra una lingua e l’altra il romanzo perde il suo smalto, e risulta fortemente appesantit­o da una zavorra di volgarità a cui manca l’umorismo dell’originale.

E tuttavia anche così, Il nido rimane un romanzo che si legge d’un fiato, capace di tenere il lettore sul filo della tensione di una trama claustrofo­bica in cui si specchiano temi cari a Winton, come la nostalgia per l’etica della classe operaia di un tempo, la denuncia dello sfruttamen­to selvaggio delle risorse dell’Australia, l’ipocrisia e l’avidità di politici e ambientali­sti, fino a un finale che somiglia più a un abbandono che a una conclusion­e.

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 ??  ?? TIM WINTON Il nido Traduzione di Stefano Tummolini FAZI Pagine 442, € 19,50
TIM WINTON Il nido Traduzione di Stefano Tummolini FAZI Pagine 442, € 19,50

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