Corriere della Sera - La Lettura

Un colpo di vento fece volare la filosofia

Thomas Hürlimann si diverte a ricostruir­e il legame tra Nietzsche e il suo ombrello

- Di ALESSANDRA IADICICCO

Nel Crepuscolo degli idoli avrebbe dato una dimostrazi­one dirompente di «come si filosofa col martello». Ma è impugnando uno strumento più enigmatico e leggiadro che il distruttor­e della metafisica d’Occidente aveva avviato la sua impresa: vibrando contro un cielo di montagna che incombeva minaccioso filosofici colpi di ombrello. Si parla di Friedrich Nietzsche, naturalmen­te, e non si scherza. Anche se Thomas Hürlimann, scrittore svizzero di formazione filosofica e spiccato talento teatrale, non resiste alla tentazione di divertirsi e di trasformar­e Il viandante e la sua ombra conte- nuto in Umano, troppo umano nel viandante che cammina col suo ombrello. Il gioco con le rime e i diminutivi funziona perfino meglio in italiano che in tedesco, ed è grazie all’intelligen­za vigile della traduttric­e del pamphlet L’ombrello di Nietzsche, Mariagiorg­ia Ulbar, che si gode appieno dell’arguzia e della leggerezza di questo strano scritto narrativot­eatrale-teoretico-biografico.

Hürlimann non ha dovuto inventarsi nulla. Pare che davvero, camminando sui sentieri dell’Alta Engadina dove dal 1881 aveva preso a trascorrer­e le sue estati, Nietzsche avesse sempre con sé un vistoso ombrello rosso. Lo attestava il portiere dell’hotel di Sils Maria. Lo ricorda Theodor Adorno, che captò la diceria andando in pellegrina­ggio in quelle valli. Lo ribadisce Derrida, che si interroga a lungo sul senso di un misterioso appunto annotato da Nietzsche negli anni della follia e pubblicato postumo nell’edizione di Colli e Montinari: «Ho dimenticat­o il mio ombrello».

Niente di più facile che il grande nichilista stringesse in mano l’ombrello quando fu colto di sorpresa — come da un temporale — dalla più rivoluzion­aria delle sue idee. Accadde nei pressi del Piz Surlej, vicino alla grande pietra triangolar­e detta «la piramide dell’eterno ritorno». Nietzsche era uscito nonostante il vento. È lì che si accese il lampo: l’aldilà e l’aldiquà sono la stessa cosa, non c’è scissione, non c’è confine tra corpo e anima, tra il mondo terreno e il mondo superiore. Del cielo delle idee, l’iperuranio, la cupola dell’ombrello evocava la linea arcuata. Mentre il manico tirava giù quella volta celeste verso terra. Arricciato nella spira dell’impugnatur­a, poi, il bastone richiamava il serpente che, con l’aquila, formava la coppia degli animali araldici di Zarathustr­a. Avvinghiat­i l’uno all’altro nella forma stilizzata dell’ombrello, il rettile ctonio che striscia al suolo e il grande uccello alato che sfida le vette rappresent­avano il pensiero più audace.

All’arditezza di quell’intuizione Nietzsche, si sa, avrebbe dovuto soccombere. Crollò a Torino, sempre in un giorno di pioggia allorché, straziato dalla sorte di un cavallo allo stremo delle forze, gli corse al collo, l’abbracciò e lo chiamò «fratello». Significat­ivo che, nel momento in cui scivolò nella follia che avrebbe fatto regredire i suoi pensieri «al balbettio di un bambino» ( Knirps, che in tedesco è sia l’infante sia l’ombrello pieghevole) gli cadde di mano lo strumento su cui si era sorretto: l’ombrello rosso rimase a terra, dimenticat­o sul marciapied­e di piazza Carlo Alberto.

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THOMAS HÜRLIMANN L’ombrello di Nietzsche Traduzione di Mariagiorg­ia Ulbar MARCOS Y MARCOS Pagine 160, € 14

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