Corriere della Sera - La Lettura
Scorza, il ritrattista degli animali
Apre a Genova il 10 febbraio la prima grande retrospettiva dedicata a un pittore amatissimo nel Seicento per le rappresentazioni di una natura favolosa e ricca di fascino
Lodato e poi trascurato. Quella che si apre il 10 febbraio a Genova è la prima mostra monografica dedicata a Sinibaldo Scorza. Genovese di Voltaggio, un piccolo centro già ligure, ma oggi in provincia di Alessandria, Sinibaldo era stato pittore alla corte di Carlo Emanuele I di Savoia e Giovanni Battista Marino aveva celebrato in poesia i suoi dipinti. Dopo un lungo silenzio, la critica del Novecento lo trattò tra i pittori minori liguri e lombardi, mentre Roberto Longhi lo segnalò per la rappresentazione spoglia e veritiera di angoli del centro di Roma. La sua fortuna d’oggi la deve ad anni di studi di Mary Newcome Schleier e di Anna Orlando. Proprio quest’ultima ha curato la mostra che abbraccia tutti i campi della sua opera e lo mette a confronto col fiammingo Lucas de Wael e l’olandese Pieter Mulier detto il Tempesta.
Sinibaldo Scorza (1589-1631) era un nobile. Non fu il solo nobile genovese a dedicarsi alla pittura come professionista. Suo maestro era stato un altro nobile genovese, Giovanni Battista Paggi (1554-1627). Entrambi avevano temperamenti tipici dell’età barocca. Paggi uccise nel 1581 un cliente che non voleva pagarlo, e trovò rifugio a Firenze presso Francesco I de’ Medici. Scorza ferì gravemente un tale che aveva fatto muovere un cavallo che stava ritraendo. Paggi, pittore e teorico dell’arte, teneva la casa aperta ai giovani, e ne approfittò Sinibaldo Scorza, che nella ricca collezione del maestro si mise a copiare le stampe di Dürer, mentre in biblioteca contemplava le illustrazioni di Bernardo Castello della Gerusalemme liberata che suggerivano una fusione tra la storia e la verde natura.
Si era alla soglia di radicali cambiamenti. Talvolta con interessi scientifici, altre con il gusto della curiosità e della catalogazione e, specialmente a Genova, con l’ ammirazione per la nuova pittura delle Fiandre, il collezionismo del tempo si volgeva alla raffigurazione dal vero dei fiori e degli animali. Nei paesi fiamminghi era anzi nato un genere nuovo di pittura, che consisteva nella pura rappresentazione di animali, senza presenze umane o giustificazioni narrative o allegoriche.
Dal 1619 pittore di corte a Torino, Sinibaldo Scorza si rivelò un vero maestro nella rappresentazione degli animali. Non soltanto li riprendeva, ma ne intendeva la natura e persino la psicologia. Lavorava e ricercava indefessamente. La collezione Czartoryski, a Cracovia, conta 400 suoi disegni, diversi dei quali esposti. Rari i paesaggi, ma tante le attente osservazioni dal vero di animali, per le quali Scorza studiava il segno per quanto possibile mimetico, dal piumaggio d’un uccello al morbido pelame d’uno scoiattolo. Vi erano poi racconti nei quali la sua bravura nel dipingere gli animali si poteva manifestare al di sopra della pittura di genere e dare alla storia una inaspettata integrazione con la natura, sull’esempio del Tasso.
Così con grande libertà Sinibaldo Scorza trattò Ada- mo ed Eva nel Paradiso terrestre, oppure le storie di Noè e la visione di sant’Eustachio. Erano occasioni per mettere in scena paesaggi boscosi modellati da quinte di luce e d’ombra, come nella pittura di Paul Brill, a volte percorsi da un’inquietudine che preannuncia Salvator Rosa. Orfeo che con la musica incanta gli animali (una delle opere finora inedite), è un soggetto antico, ma nessuno prima di Scorza aveva saputo individuare e trasmettere l’effetto che la musica produceva sugli animali nella loro diversissima natura, dall’asino che rizza gli orecchi, al leone divenuto mansueto, verissimo nel suo fulvo vello, benché modellato su di un celebre rilievo ellenistico di Palazzo Barberini. Circe e i compagni di Ulisse trasformati in animali, tema che Scorza tratta con insistenza, è un aggiornamento del mito basato sulla Circe del fiorentino Giambattista Gelli, stampata nel 1549 e consultata probabilmente dal pittore tra i libri del Paggi.
Secondo la nuova versione, che doveva pienamente convincere il pittore, quando Circe stava per restituire la forma umana ai compagni di Ulisse che la maga aveva trasformato in animali, tutti, tranne l’elefante, che in vita era stato filosofo, scelsero di restare animali, trovando quella condizione di vita assai preferibile a quella umana. Si direbbe che Sinibaldo Scorza comprendesse le ragioni di quella scelta. Del resto, per lui neanche il Battista poteva predicare a una folla fatta soltanto di uomini e donne senza che lo ascoltassero anche le bestie. In un ampio paesaggio, il Precursore predica così sullo sfondo d’una città lontana, a un raccolto pubblico in parte a piedi e in parte a cavallo, mentre metà della composizione è occupata da tranquille mucche ruminanti.
La guerra tra Carlo Emanuele I e Genova, dal 1625 al 1627, ebbe conseguenze gravi per il pittore innamorato degli animali. Finirono il lavoro e il vivere alla corte di Torino, mentre in patria era visto come un traditore. Fu allora, nel 1626, che trovò rifugio a Roma, dove visse poco più di un anno e si confrontò con un paesaggio urbano che sembrava del tutto estraneo alla sua fantasia. Trovò allora una scabra bellezza in un angolo quasi anonimo di Roma, tra pareti nude e lunghe ombre oblique. Nei suoi veloci disegni apparvero allora anche le rovine della città eterna, ma considerate come pure note paesistiche, senza alcuna intenzione antiquaria.
Scorza sarebbe poi tornato a Genova nel 1627, riprendendo i suoi temi preferiti. Firmò nel 1630 una tela, assai scura, con gli animali che entrano nell’arca di Noè. Il più sicuro è il massiccio cavallo bianco, mentre tutti gli altri sembrano irrequieti e in allarme. Furono ancora, quegli ultimi, anni intensi di lavoro, quando le sue tele entrarono di nuovo nelle collezioni della nobiltà genovese e aprirono la strada ai racconti immaginosi, di uomini e animali, del Grechetto.