Corriere della Sera - La Lettura
È Corto Maltese, sembra Mastroianni
Ci sono eroi che vivono più nell’arte che nella vita. Capita al cinema, capita nei fumetti. Non è come Pinocchio — dice l’artista Marcello Jori visitando la mostra che Bologna dedica a Hugo Pratt — non mendica sangue come un burattino
Hugo Pratt sì che è un uomo del futuro! Hugo Pratt non è mai stato volgarmente globale, ma sempre appassionatamente internazionale. E senza bisogno di dichiararlo ma semplicemente essendolo. Pratt è per la resistenza e la strenua difesa dell’individuale, intendendo per individuo una nazione, una regione, un paese, una calle di Venezia o anche soltanto 50 metri quadrati di foresta pluviale. Intendendo per individuo l’espressione di un boscimano infastidito da un coleottero o quella di un indiano Urone deluso dal tradimento di un fratello bianco. Tutto questo si capisce perfettamente visitando la sua mostra al Museo della Storia di Bologna. Ci sono artisti che quando muoiono invece di morire nascono. Uno di questi è Hugo Pratt.
Che specie di artista? Uno di specie enorme, un genio anfibio composto di talenti multipli che diventa difficile recintare senza limitarne la portata. Era tanto che non mi concedevo il premio di leggerlo. Credevo di essermelo goduto abbastanza negli anni Ottanta e Novanta. Perché leggere ancora qualcosa che ormai è stampato nei labirinti del tuo cervello? Eppure l’altro giorno, passeggiando distrattamente per Bologna, ho incrociato lo sguardo gigante di Corto Maltese che fissando i passanti dalla facciata del museo, sognava di esistere. Corto ha sempre sognato di essere vivo e ormai, bastava guardarlo, ci era riuscito eccome. È addirittura molto più vivo di Pratt, adesso.
Avrebbe potuto diventare uomo come Pinocchio se solo si fosse abbassato a chiedere. Figuriamoci se un padre come mastro Hugo non lo avrebbe accontentato. Era molto più magico lui di qualunque fata turchina. Ma Corto non è mai stato tipo da mendicare sangue come un burattino. Gli andava benissimo il sangue nero di suo padre, l’inchiostro! Meglio la vita su carta, dove ogni vignetta vale quanto il battito di un cuore.
Succede a certi attori conclamati, di preferire il limbo dell’arte alla vita comune. Chi se lo scorda, quell’altro collega ammaliatore e sonnacchioso di nome Marcello, che aspettava la chiamata di Fellini per vivere finalmente la sua vera vita su pellicola. Stessa razza di figure sfug- genti no? Belli per questo, i Corti Maltesi, i Marcelli Mastroianni, irresistibili per questo.
Insomma, una calda corrente ascensionale mi stava risucchiando su per le scale del museo e non riuscivo a controllare quell’euforia che puntualmente mi monta in corpo quando sto per incontrare un genio riuscito. Non mi rendevo conto di quanto mi mancasse Pratt, ne avevo spiritualmente bisogno e non lo sapevo. Ci sono artisti così grandi che quando li attraversi sanno renderti felice. Non importa a quale specie appartengano, non conta se fanno i pittori, i musicisti, gli scrittori o i registi o se fanno romanzi disegnati. A me succede che quando ne incontro uno, mi viene quasi da piangere dalla riconoscenza, perché mi dimostra, in carne e ossa, cosa può essere l’arte quando è.
Adesso è questa qua aggrappata alle pareti, questa energia senza tempo sprigionata dalle tavole che mi sta attraversando e mi fa volteggiare fino all’uscita in una danza da sufi. A me, che non so ballare. E ora che mi ritrovo stordito all’uscita nel mondo di prima, faccio pace con i dubbi e dico: grazie uomo, ora capisco perché Dio ti ama.
L’anno scorso mi è successo alla mostra di Bacon a New York. La selezione ineccepibile dei suoi capolavori era quasi emotivamente insostenibile. Sembravo indemoniato dalla gioia, dicevo grazie ad ogni quadro e applaudivo e dicevo bravo a voce alta. Non mi sono mai vergognato a farmi vedere riconoscente in pubblico. E anche qui e ora, un anno dopo davanti a Pratt, stavo ringraziando di nuovo, ma a voce bassa, perché lui invade più delicatamente di Bacon, diversamente. Perché il suo magnifico diretto destro che ti manda al tappeto, quel suo decantato segno nero da espressionista, è addolcito da una brezza che viene da lontano, soffiata da gente che sa cos’è il nettare della no- stalgia sfumata. L’acquerello di Pratt non vuole essere nominato né spiegato. Le parole lo profanerebbero. Quando gli artisti sono così bravi e utili al progresso della gioia umana, non importa dove sviluppano quel dono che umanamente parlando li avvicina al Dio terrestre. Non importa nemmeno quanto costano, anche se qui si mormora che Una ballata del mare sa
lato, la storia più famosa del maestro di Malamocco, ha raggiunto la valutazione di alcuni milioni di euro! A proposito, eccola esposta qua davanti a fare da regina della mostra, con tutte le sue 140 tavole schierate sul finale a comporre i mattoni di un muro degno di Babilonia.
All’ingresso invece una piccola saletta da cui esce polvere di luce. Si dice che sia sempre piena e che nessuno degli entrati sia mai uscito prima di un’ora. Contiene il tesoro di Pratt. Niente a che vedere con la mitica scatola di Salgari che si diceva nascondesse chissà cosa, finché qualcuno la aprì e ci trovò soltanto fotografie, mappe, cartoline e roba del genere. Il tesoro di Pratt no, c’è per davvero ed è la sua vita. Lui ha viaggiato sul serio. Lui faceva come la Yourcenar, che si sdraiava per terra ai Fori imperiali ad ascoltare la voce di Adriano.
Hugo Pratt per ascoltare gli indiani andava sul posto nell’Ohio, a Wheeling. E per incontrare Merlino aspettava l’alba fra i massi di Stonehenge. Lui ha fatto molto più di quello che ha raccontato, ha amato mille volte di più, ma quanto veramente non si saprà mai perché un giorno ha scoperto che poteva disegnare la sua vita come quella di Corto e senza danni apparenti alla sua biografia, anzi, con vantaggi inimmaginabili.
Da quel momento in poi, non si è capito più niente della verità su quel predecessore di tutti i più sofisticati storyteller del mondo di oggi. È diventato Hugo Pratt, il sogno che cammina. Ripeto, in quella saletta c’è un proiettore che va senza fine e su un piccolo schermo brilla un po’ della sua vita. Non molta, ma sufficiente a renderti avido dei suoi disegni. Sufficiente a capire la differenza che c’è fra quella sua vita e quella sua arte. Nessuna, non ce n’è nessuna!