Corriere della Sera - La Lettura

Pasolini nella Milano di Testori

- di MAURIZIO PORRO

Uno salì dalle borgate romane ai Navigli attratto dalla gioventù bruciata cantata dall’altro. Che sul letto di morte, decenni dopo, immaginò una profetica Apocalisse ambrosiana. I loro testi s’incontrano ora Dall’8 febbraio va in scena «La nebbiosa», sceneggiat­ura cinematogr­afica che PPP scrisse ma non diresse. A maggio lo seguirà «Gli angeli dello sterminio», opera estrema del drammaturg­o e pittore

Dimenticat­e i boschi verticali di oggi. Il teatro s’impegna a ricordare la Milano di ieri con due attesi spettacoli che promettono rabbie, catarsi, nostalgie e portano la firma dei due massimi profeti del Novecento: al Parenti dall’8 al 19 febbraio La nebbiosa di Pier Paolo Pasolini e dal 10 al 29 maggio al Teatro i Gli angeli

dello sterminio di Giovanni Testori. Chi conosce i due autori, testimoni non riconcilia­ti col loro tempo, riconoscer­à questa volta un gioco delle parti: Pasolini parla di periferia e di teddy boy milanesi, intrisi di nebbia e nazionali senza filtro; Testori immagina un’Apocalisse, un bisogno di spirituali­tà accesa, quasi un Teorema (il film di Pasolini in cui Laura Betti volava come una santa) servito in borghese flûte di champagne, mentre Milano brucia.

Andiamo con ordine: Pasolini nella sceneggiat­ura della Nebbiosa edita dal Saggiatore racconta una notte brava milanese (quella di San Silvestro), mentre Testori negli Angeli dello sterminio edito da Longanesi (è l’ultima cosa che scrisse, in ospedale, nel ’92) guarda dalla finestra l’intera città, interroga una veggente, annuncia la fine del mondo partendo dalla Cattedrale e dal collasso del disordine al suono delle moto.

Le voci morbide e rassicuran­ti dei due più temibili profeti del Novecento rim- bombano terribili da piccoli palcosceni­ci. Saranno due quinte, due fondali di Milano a confronto, anni Sessanta e anni Novanta, con scariche elettriche di attualità. E due modi di «riannodare i fili del passato, per poter tornare al presente», dice a «la Lettura» Renzo Martinelli, ex corridore in moto come gli angeli del libro, regista del testo di Testori ridotto con Francesca Garolla, nonostante la sua visione laica del mondo: « Gli angeli dello sterminio è un’Apocalisse che forse porterà all’arrivo di un nuovo e atteso Messia oppure lascerà dietro di sé un apocalitti­co deserto. Dio non c’è, è morto, forse non è mai esistito, ma non abbiamo una norma nuova». Lo diceva anche Woody Allen. La scena sarà un luogo neutro, un Crocefisso caduto a terra che nel libro la genialità barocca dell’autore spinge a immaginars­i una reliquia del santo che si stacca dalla croce e dalla teca: «Testori conosce i nomi dei responsabi­li dell’atrocità», avverte il regista.

E anche Pasolini conosceva i nomi dei colpevoli, lo scrisse in un famoso articolo sul «Corriere della Sera». Stefano Annoni invece, giovane talento di attore, accento milanese, pettinato alla Elvis col ciuffo biondo, si butta da trentatree­nne nella Milano che fu, attento alle inflession­i di lingua e di linguaggio, con una milanesità che Pasolini, tutto borgate, aveva imparato durante un mese di full immersion nelle

periferie della Milano 1960, l’epoca di Rocc o e i su o i fr a t e l l i , L a Mari a Br as c a , L’Arialda, di La vita agra di Luciano Bianciardi, prendendo spunto da vite violenteme­nte vere di ragazzi anche di buona famiglia.

Se Testori racconta in stile splatter, come una storia di zombie horror alla Romero con l’anima in fiamme, Pasolini sceglie il noir sociale e mette in conto il disordine e in moto l’indifferen­za morale che oggi non ha ancora finito di far danni. «In due in scena, Diego Paul Galtieri e io, ci moltiplich­iamo in tutti i personaggi, il Cino, il Rospo, il Contessa, il Toni detto Elvis, il Gimkana, il Teppa, Mosè, il maggiordom­o, la barbona e le loro vittime. Raccontiam­o la storia in flashback, telo bianco dietro e batteria suonata a vista, partendo da un night dove accogliamo il pubblico con l’esibizione di una cantante milanese alla Jannacci-Celentano-Gaber; o di una ballerina di burlesque come miss Sophie Champagne, per ricreare lo strip spleen di quegli anni; poi torniamo al fatidico 1960 in jeans e maglietta».

La sceneggiat­ura fu scritta su commission­e per un film che poi non girò Pasolini, che preferì Accattone, ma altri: Milano ne

ra di Rocco e Serpi, addì 1961. E fu un flop. «Il libro sembra un thriller che copriamo di rock ’n’ roll, compresa un Allelujah di Presley. Sarà proprio la musica a dare il ritmo a questa notte folle di bravate, inseguendo una bella vita che non verrà mai. Un’arancia meccanica nella nebbia milanese in cui spuntano vizi mai superati come l’omofobia contro il così detto “ambiguo” e i ragazzi galleggian­o sulle rovine di una città in ri-costruzion­e. Il collega suona la batteria e insieme cambiamo sesso e costumi, indossando abiti alla Wanda Osiris o come due sciure di allora, ex ballerine di Macario, in cerca di emozioni in jeans».

Testori, lontano ormai dai fabbriconi sul ponte della Ghisolfa e dalla Gilda del Mac Mahon, nel suo ultimo libro giudica, tuona, emette la sentenza, sconta la pena, soffre e colpevoliz­za l’effimero (oggi si direbbe virtuale, grande intuizione) che impedisce ogni reazione. Poi incendia tutto facendosi ispirare da quel senso del sacro imparato dagli sguardi eterni degli affreschi del Sacro Monte di Varallo. Pasolini osserva invece neutrale ma ogni tanto sbotta in qualche laica minaccia da corteo tipo «fascisti borghesi ancora pochi mesi», facendo annunciare che la classe dirigente è immersa nello sterco fino al collo.

«Chiaro che i ragazzi sono vittime del sistema, figli della società borghese per i quali fascismo, comunismo e democrazia sono tutti la stessa cosa» dicono Annoni e

il regista Paolo Trotti che hanno ridotto il libro. La Milano di allora dei grattaciel­i Galfa e Pirelli «mostra alcune impression­anti similitudi­ni con quella di oggi. Vengono a galla due speranze tradite, due segnali di boom entrambi mal riposti ma, se andiamo a scavare, sotto si trova solo disperazio­ne e solitudine». La stessa materia del copione di Testori, che i suoi scavi sociali li aveva da tempo terminati: «La sua Milano è l’esempio di un nuovo strazio, di una desolazion­e estrema, di una ex polis calpestata, corrosa, alla fine dei suoi giorni», dice Martinelli, che sta teatralizz­ando le pagine.

E se uno dei ragazzacci di vita milanesi si chiama Gimkana, anche gli angeli testoriani scattano sulle loro falliche moto, ed è un incubo del tempo che ricorre anche nel terzo grande profeta, Federico Fellini, che finisce Roma proprio con un pauroso carosello di selvaggi motociclis­ti marlonbran­deggianti. E in fondo sono due Milano che tentano di stare a galla. Ci dice Annoni: «Pasolini insiste sul fronte immenso di una città tetra, faticoso presagio del giorno che nasce, atmosfera buia e gelata. Ci sono i lustrini ma sotto l’abbaglio troviamo paura e violenza. Nelle trasformaz­ioni io parto da un naturalism­o corretto col grottesco, guardo al materiale umano ma non lo imito, lo faccio mio, cercandone la profondità, la verità e, quando possibile, la poesia per parlare a tutti e non solo agli addetti ai lavori».

Martinelli pensa al meta-teatro, mette in locandina la Dialettica e una lotta tra la prima e la terza persona, smascheran­do in una querelle generazion­ale il senso ultimo del romanzo: «Metto in scena un autoreregi­sta, che sarà Cochi Ponzoni, voglioso di un’esperienza diversa, e due giovani, il “latelliano” Emanuele Turetta e Liliana Benini, che lo contestano, criticano, quasi ribellando­si al testo, interrogan­dosi come dare la salvezza all’uomo anche senza la fede. Dell’Apocalisse raccontata nelle pagine niente accade per davvero: tutto è finto, eterno, congelato nell’unità di tempo, luogo e azione, bloccato in un punto senza ritorno, indefinibi­le, in cui coincidono passato, presente e futuro. La scommessa è di intuire in un romanzo che forse è un abbozzo o un quaderno, un testo di teatro dove l’uomo possa salvarsi da solo e rinunciare all’Attesa. Ma credo anch’io che l’Apocalisse, privata di ogni divina compassion­e, sia quella che oggi stiamo vivendo tutti i giorni. Ma è impossibil­e tollerare e comprender­e l’immagine della distruzion­e e da qui nasce la forza teatrale della disputa: è quel deserto metropolit­ano che già il poeta aveva scorto alla finestra nei suoi ultimi giorni. A noi resta oggi sempre il sacrosanto dovere di ribellarci».

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 ??  ?? Un milanese a Milano Dall’ultimo racconto scritto da Giovanni Testori (Novate Milanese, 1923-Milano, 1993) nel 1992, Gli angeli dello sterminio — edito da Longanesi (pp. 88, € 13) e poi letto da Franco Branciarol­i al Teatro di Verdura — il regista...
Un milanese a Milano Dall’ultimo racconto scritto da Giovanni Testori (Novate Milanese, 1923-Milano, 1993) nel 1992, Gli angeli dello sterminio — edito da Longanesi (pp. 88, € 13) e poi letto da Franco Branciarol­i al Teatro di Verdura — il regista...
 ??  ?? Un romano a Milano La nebbiosa è una sceneggiat­ura del 1959 di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922-Roma, 1975) per un film che non farà mai in prima persona: pubblicata dal Saggiatore (pp. 209, € 14), è stata ora ridotta da Paolo Trotti e da Stefano...
Un romano a Milano La nebbiosa è una sceneggiat­ura del 1959 di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922-Roma, 1975) per un film che non farà mai in prima persona: pubblicata dal Saggiatore (pp. 209, € 14), è stata ora ridotta da Paolo Trotti e da Stefano...
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