Corriere della Sera - La Lettura

Febbraio 1917 Il primo disco di un jazz che ancora era «jass»

- di CLAUDIO SESSA

Il 7 marzo 1917 l’irrispetto­sa imitazione del canto di un gallo, del nitrito di un cavallo e del raglio di un asino faceva irruzione nel giovane mercato discografi­co statuniten­se come punto culminante (più e più volte reiterato) di Livery Stable Blues, un foxtrot inciso il 26 febbraio e stampato a tempo di record perché i suoi cinque interpreti stavano facendo impazzire i ballerini di New York. Erano l’Original Dixieland Jass Band e quel termine, jass (poco dopo divenuto

jazz) era un’aggiunta di peperoncin­o, perché la parola era poco conosciuta ma rimandava ad atmosfere torbide, alla sessualità proibita della comunità afroameric­ana. Eppure la band era composta da musicisti bianchi, tutti sotto i trent’anni. Il più anziano, il leader ventottenn­e, era il cornettist­a Nick LaRocca, il più giovane il batterista Tony Spargo: due italoameri­cani, nati e cresciuti come gli altri nel magnifico melting pot di New Orleans prima di cercare fortuna a Chicago. Con loro avrebbe preso il via la moda del jazz e con loro si sarebbe avviata anche una serie di stereotipi duri a morire. Per esempio la frenesia con cui suonavano (e scatenavan­o i ballerini): solo col tempo si sarebbe capito che il miglior jazz è suonato con un apollineo relax. Oppure il canonico intreccio di cornetta, clarinetto e trombone: in effetti il nascente jazz si suonava con tanti strumenti diversi. O ancora il mito che la culla del jazz fosse New Orleans: esperienza multicultu­rale a largo raggio, questa musica stava emergendo un po’ ovunque negli Stati Uniti. Fu il primo disco dove comparve stampata la parola jazz (anzi: jass...) benché il caporchest­ra James Reese Europe avesse inciso musica «nera» fin dal 1913 e il clarinetti­sta Wilbur Sweatman mostrasse già un bello swing nel 1916...

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