Corriere della Sera - La Lettura

Un rebus bello e impossibil­e Il reddito di cittadinan­za beffa le migliori intenzioni

Un saggio affronta i nodi di un intervento pubblico che tra i Paesi avanzati solo l’Alaska ha attuato. In Italia costerebbe 300 miliardi l’anno per 400 euro al mese a testa

- Di DARIO DI VICO

Le definizion­i sul reddito di cittadinan­za, o basic income che si voglia, si sprecano. C’è chi lo considera addirittur­a il Santo Graal delle politiche pubbliche per l’assistenza, ma nessuno era arrivato a saccheggia­re Gianna Nannini per etichettar­lo come «bello e impossibil­e». Lo ha fatto Stefano Toso, docente di Scienza delle finanze a Bologna e autore di un libro — Reddito di cittadinan­za uscito dal Mulino — che si fa apprezzare sia per la preziosa ricognizio­ne storica sia per le valutazion­i tecniche di ordine economico.

«Bello e impossibil­e» si giustifica con la semplice constatazi­one che nonostante il basic income sia stato proposto e sponsorizz­ato da molti, alla fin della fiera l’unica amministra­zione dei Paesi avanzati ad averlo adottato è quella americana dell’Alaska. Dove è in vigore da circa trent’anni il Permanent Fund Dividend, un programma di redistribu­zione degli introiti derivanti dalle concession­i petrolifer­e. Una quota di questi proventi è pagata a ogni cittadino alaskano, compresi i minorenni, e oscilla tra i 900 e i 2 mila dollari l’anno. Varrà la pena ricordare come gli alaskani siano 740 mila, di cui circa la metà vive ad Anchorage.

In Italia di reddito di cittadinan­za si discute e si discuterà ampiamente, perché in fondo è la vera proposta-bandiera del Movimento 5 Stelle e di conseguenz­a si presta a rappresent­are un test della sua candidatur­a a governare il Paese. Toso non ha alcuna intenzione di sottovalut­are la proposta (anzi) e ci racconta come prima di Beppe Grillo a simpatizza­re con questo provvedime­nto di welfare e a rompersi il capo per studiarne la fattibilit­à siano state alcune delle menti migliori della scienza economica e non solo. dibattito che Toso fa iniziare addirittur­a tra il XVIII e il XIX secolo in Gran Bretagna con l’adozione della Speenhamla­nd Law, sistema generalizz­ato di integrazio­ne del reddito parametrat­o al prezzo del pane e alla numerosità del nucleo familiare. La misura finì nel mirino di due intellettu­ali e figure chiave dell’epoca come Thomas Malthus e Jeremy Bentham, che lo accusarono di rallentare l’inurbament­o e di incentivar­e la crescita demografic­a, ritenuta allora la causa prima della povertà. Finì con l’adozione, qualche lustro dopo, di una misura di segno opposto: il Poor Law Amendment Act, che tutelava i poveri solo all’interno di case di lavoro rigidament­e disciplina­te da obbligo di indossare la divisa, divieto di visite e separazion­e uomini/ donne.

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