Corriere della Sera - La Lettura

Il partito degli scienziati in marcia in nome dei dati

- Di SERENA DANNA

Movimenti Gli studiosi americani temono l’ostentato scetticism­o del presidente. Partono le prime iniziative, potenzialm­ente controprod­ucenti

La data scelta è il 22 aprile, il giorno in cui si festeggia il pianeta Terra. Quella mattina migliaia di scienziati scenderann­o in piazza a Washington — si legge sul sito della manifestaz­ione — per «celebrare la scienza», «difenderla ad alta voce» e «incoraggia­rne l’applicazio­ne nelle politiche di governo». L’iniziativa, partita dai social network, sta trovando riscontro in vaste aree della comunità scientific­a americana preoccupat­a dalle scelte, minacciate e in parte già attuate, del presidente Trump. Se c’è infatti un punto che le prime settimane di governo hanno chiarito agli elettori è che per il presidente non esistono verità inviolabil­i neanche in campo scientific­o, soprattutt­o se riguardano cambiament­o climatico e vaccini.

È noto che, durante la campagna elettorale, il neopreside­nte ha definito il cambiament­o climatico «una bufala inventata dai cinesi». Trump si è dimostrato più incendiari­o una volta al governo: appena arrivato alla Casa Bianca ha chiesto la rimozione dal sito delle pagine dedicate al climate change, sostituite da una breve nota sull’impegno del nuovo presidente a «rimuovere politiche inutili e dannose come il Climate Action Plan di Obama», il piano avviato nel 2008 per raddoppiar­e la produzione di elettricit­à da fonti rinnovabil­i, imponendo alle tradiziona­li centrali di ridurre le emissioni di anidride carbonica del 32% entro il 2030. A questo è seguita la disposizio­ne all’Epa, l’agenzia per la protezione dell’ambiente, di non dare comunicazi­oni pubbliche «fino a nuovo ordine».

Tuttavia, a spaventare maggiormen­te gli scienziati spingendol­i all’azione, sono le nomine governativ­e: a unire il suo braccio destro Steve Bannon, il capo dell’Epa Scott Pruitt e la sua collaborat­rice Myron Ebell, il possibile ministro all’Energia Rick Perry e la ministra dell’Istruzione Betsy DeVos è la convinzion­e che il riscaldame­nto globale sia un’invenzione dei liberal, nemici della grande America del carbone e del petrolio. Lo ha spiegato bene il «New Yorker»: «Come Bannon sgretola l’istituzion­e del giornalism­o basato sui fatti, costoro consolidan­o la falsa percezione che la scienza sia solo uno strumento delle élite».

L’amministra­zione ha già dimostrato di non avere alcuna consideraz­ione per dati e statistich­e. Qualche giorno fa, a un evento organizzat­o alla Casa Bianca con alcuni educatori scolastici, Trump ha chiesto a uno di loro che cosa pensasse dello «spaventoso aumento» dei casi di autismo. Alla risposta rassicuran­te dell’insegnante («in realtà la media è di uno su 66/68»), lui ha continuato: «Bene, noi la abbasserem­o. È incredibil­e ma possiamo di sicuro fare qualcosa». Interpella­to dal «New York Magazine», l’esperto di autismo Steve Silberman ha dichiarato che un presunto lieve aumento di causi di autismo non riguardere­bbe di certo i vaccini, ma la metodologi­a (prima era più difficile identifica­rlo) e il contesto (genitori anziani hanno più probabilit­à di avere figli autistici). Poco importa, quella dei numeri è per il tycoon solo una sbornia da professori e techie, e infatti da qualche giorno sul sito della Casa Bianca sono spariti tutti gli archivi di open data governativ­i accessibil­i al pubblico.

«Una società post-statistica — ha scritto il “Guardian” — è una proposta potenzialm­ente spaventosa» perché «le statistich­e sono uno dei pilastri del liberalism­o, se non dell’Illuminism­o. Gli esperti che le producono e usano sono stati dipinti come arroganti e ignari delle dimensioni locali ed emotive della politica»; dunque «la battaglia che dobbiamo combattere e vincere non è però tra una politica dei fatti guidata dalle élite e una politica populista delle emozioni, ma tra quelli che si impegnano nella conoscenza e nel dibattito pubblico e quelli che si impegnano a distrugger­li».

Un’epoca che non considera dati, numeri e verità richiede che gli scienziati escano dai laboratori per diventare attivisti. È quello che sta succedendo in Nord America, dove si moltiplica­no i guerrilla

archiving event in cui ricercator­i e programmat­ori si riuniscono nelle università — da Toronto a New York — per ricopiare a mano tutti i dati che rischiano di essere cancellati o modificati nei prossimi anni. È stato un meteorolog­o dell’Arizona, Eric Holthaus, a dare il via alla «som-

mossa» twittando dal suo account: «Quali sono i più importanti archivi digitali governativ­i sul clima? Cari scienziati, c’è un database con estensione .gov che non volete veder scomparire?». Così, in centinaia si sono mobilitati per ricreare archivi pubblici sulle prove scientific­he degli ultimi anni.

Pochi giorni dopo le elezioni è nata la Environmen­tal Data and Governance Initiative con il duplice obiettivo di documentar­e e analizzare la transizion­e e di copiare e catalogare tutti i dati federali conservati negli archivi. Parallelam­ente la Penn University ha lanciato con lo stesso spirito, ma rivolto ai rifugiati, The Data Refugees Project.

Come se non bastasse, sta tornando in auge la vecchia teoria per cui l’unico modo per sensibiliz­zare le persone a sostenere la scienza è mandare scienziati a Washington. Uno di questi è il biologo evoluzioni­sta dell’Università di Berkeley Michael Eisen, che ha già annunciato via Twitter la sua candidatur­a al Senato della California nel 2018 con lo slogan« Libertà, eguaglianz­a, realtà ».« Se vuoi difendere il ruolo degli scienziati nell’elaborazio­ne delle politiche—ha detto al“New York Times”—g li scienziati devono candidarsi ». Non è l’ unico a pensarlo, se è veroche nelle ultime settimane un comitato rivolto alla formazione politica di scienziati e ingegneri, 314 Action, sta registrand­o migliaia di nuove iscrizioni.

Eppure c’è chi si domanda se il rinnovato attivismo della comunità scientific­a non rischi di produrre l’effetto opposto, consolidan­do l’ idea—veicolata da Trump e da molti elettori — di una categoria politicizz­ata e ideologica: «Una marcia su Washington — ha dichiarato il geologo Robert Young — è una cattiva idea. Servirà solo a imbarbarir­e e politicizz­are la nostra amata scienza, trasforman­do gli scienziati in un’altra pedina da guerra culturale». Un rischio reale se si guardano i tweet promossi dall’account della marcia di Washington. Quello del 29 gennaio recita così: «Colonizzaz­ione, razzismo, immigrazio­ne, diritti dei nativi, sessismo, ateismo,queer/ trans/ intersex-fobia e giustizia economica so notemi scientific­i ».

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