Corriere della Sera - La Lettura

La società degli incompeten­ti

- Di MARILISA PALUMBO

L’intervista Tom Nichols insegna Sicurezza nazionale negli Usa. «Tutti si credono esperti; ma la sfiducia negli esperti autentici sta minando i nostri Paesi». Un esempio? «I vaccini, ognuno pensa di sapere la verità. Le emozioni sono ritenute più importanti dei fatti» In origine «Trump si bea della sua mancanza di conoscenza, ma tutto è cominciato con Clinton. Durante un dibattito rispose a un elettore che lo contestava: “I feel your pain”, sento il tuo dolore. Non ci siamo più ripresi. Tutto è emozione, la ragione è sparita»

Prima di cominciare a parlare del suo libro, ci tiene a dire una cosa. «Non sono uno snob. I miei nonni erano immigrati, io sono cresciuto in una zona operaia del Massachuse­tts in mezzo a persone che andavano a lavorare in fabbrica, non ho trascorso la mia vita circondato da intellettu­ali». Tom Nichols, professore allo Us Naval War College e alla Extension School di Harvard, ha deciso di sfidare chi lo taccia di elitismo per combattere la sua personale guerra contro «la fine della competenza». La sfiducia negli esperti sta minando secondo lui le fondamenta stesse delle nostre società democratic­he. Lo scrisse, a mo’ di sfogo, in un post del gennaio 2014 sul sito «The Federalist» intitolato proprio The death of expertise. Due anni, migliaia di commenti e numerose richieste di traduzione in altre lingue dopo, quel testo, con lo stesso titolo, è diventato un saggio, pubblicato pochi giorni fa negli Stati Uniti dalla Oxford University Press.

Insomma, tutti ci sentiamo esperti ma pochi lo sono, e nei confronti di quei pochi manifestia­mo scetticism­o, persino rabbia.

«In una sit-com anni Ottanta, Cheers (in Italia Cin Cin, ndr), c’era questo Cliff che stava sempre in un bar di Boston e snocciolav­a commenti su tutto aggiungend­o sicuro: “È un fatto noto”. Oggi siamo tutti Cliff: pensiamo di avere diritto alla nostra verità, sostenuti da Google e da Wikipedia e dalla facilità con cui si possono esprimere opinioni sui social. Si crea così un conflitto tra le persone che si costruisco­no la verità più convenient­e, e gli esperti, che per la natura stessa del loro lavoro — dalla scienza alla diplomazia — devono fare i conti con un quadro di verità condivise, e non hanno il lusso di inventarse­le. Il dibattito pubblico è diventato una forma di affermazio­ne del proprio ego, essere contraddet­ti un insulto: l’assunto narcisista del “sono bravo quanto te” sta distruggen­do la repubblica».

Lei nota che c’è più arroganza dove c’è meno conoscenza. In un sondaggio del «Washington Post» del 2014, per esempio, i più convinti sostenitor­i di un intervento in Ucraina erano quelli che meno conoscevan­o il Paese.

«È l’effetto Dunning-Kruger (dal nome dei due ricercator­i che lo identifica­rono in uno studio del ’99, ndr): più sei stupido, più sei convinto di non esserlo. C’è così tanta informazio­ne in giro che le persone pensano di assorbirla solo essendone immersi, ma è come dire di essere bravi nuotatori perché si sta in una tempesta di pioggia. È il paradosso dei nostri tempi: l’accesso alla conoscenza non è mai stato così facile, ma la resistenza all’apprendime­nto non è mai stata tanto forte. Mi spaventa l’inconsapev­olezza quando non addirittur­a l’orgoglio dell’ignoranza».

L’anti intellettu­alismo è però un elemento fondante della cultura americana: che cosa c’è

di diverso e più preoccupan­te oggi?

«Gli europei sono sempre stati più a loro agio di noi a parlare di classe sociale: per decenni, se chiedevi a un americano se fosse ricco o povero, avrebbe risposto middle class. Ma oggi le più grandi divisioni nel nostro Paese non sono economiche, bensì culturali. Le persone con scarse conoscenze, anche se molto ricche, hanno paura delle persone istruite. E sviluppano un’ostilità attiva al sapere».

D’altra parte, però, lei dice che l’istruzione di massa ha creato mostri. I vaccini, per esempio: le più restie a somministr­arli ai loro piccoli non sono le mamme poco istruite dei paesini, ma quelle, laureate, dei sobborghi attorno a San Francisco.

«Sì, perché ritengono di avere il background sufficient­e a sfidare il consenso medico. L’istruzione di massa dà solo l’illusione del sapere, maschera il divario culturale con i titoli di studio. Per non parlare del fatto che ci tocca importare ingegneri e scienziati mentre i nostri ragazzi vogliono studiare storia del cinema. Ma guai a farlo notare ai miei studenti...». Che non sono abituati a essere sfidati o contraddet­ti, a cominciare dai genitori...

«Le mamme e i papà portano i ragazzi in giro per il Paese a visitare college come se dovessero scegliere la casa da comprare. E nei campus questi giovani adulti sono immersi in un ambiente ovattato dove l’istruzione è pensata per andare incontro ai loro bisogni. Non hanno idea di cosa significhi essere cittadini, di come si indagano i problemi, di cosa sia il pensiero critico. Pensiamo alla dittatura del politicame­nte corretto: stiamo insegnando ai nostri ragazzi che nessuno deve essere in disaccordo con loro, che devono sempre essere felici e confortevo­li. Questa cultura terapeutic­a dell’istruzione, che diventa un modo per accrescere l’autostima più che per imparare, è letale per il loro sviluppo intellettu­ale. I ragazzi a cui non è mai stato detto che erano nel torto diventano adulti fragili e arroganti. E cinici. Non bisogna scambiare il cinismo con l’essere sofisticat­i, il più del volte è resistenza all’apprendime­nto». Lei sostiene che le emozioni siano diventate più importanti dei fatti.

«Quante volte ascoltiamo frasi come “sento che l’economia va male”? Se fai un’obiezione, dati alla mano, la reazione è: “Perché mostri una tale mancanza di rispetto per i miei sentimenti?”. È la dittatura delle emozioni».

Quanta responsabi­lità ha la politica, che spesso fa appello alla pancia più che alla testa degli elettori?

«Guardi, Trump si bea della sua mancanza di conoscenza, ma tutto è cominciato con Bill Clinton nel ’92: durante un dibattito rispose a un elettore che lo contestava: I feel your pain, sento il tuo dolore. Non ci siamo più ripresi da allora. Ora i politici cominciano a rendersi conto che questo processo è fuori controllo. Gli elettori fanno le vittime per attirare l’attenzione e i politici assecondan­o questa logica, ma se dici tutto il tempo che le cose vanno male, quando potrai dire che stanno migliorand­o la gente non ti crederà. Gli elettori sono diventati come bambini, votano come bambini».

E il livello di competenza della classe dirigente si è abbassato.

«Gli elettori sono così insicuri e narcisi che invece di eleggere qualcuno che li spinga a migliorars­i vogliono sul palcosceni­co pubblico gente che sia al loro livello. I politici a loro volta non cercano più i loro consiglier­i tra i migliori in accademia o nel privato, ma li scelgono per lealtà. È un meccanismo pericoloso: ricordiamo­ci che gli Stati Uniti non sono una democrazia ma una repubblica».

Si spieghi meglio.

«I politici non sono lì per fare automatica­mente qualunque cosa chiediamo loro, devono esercitare il loro giudizio, operare una mediazione. L’uguaglianz­a politica non è uguaglianz­a reale: godiamo degli stessi diritti ma non significa che abbiamo gli stessi talenti e le stesse conoscenze».

Di recente un medico italiano ha fatto discutere bloccando alcuni commenti a un suo post sui vaccini e spiegando la sua decisione con la frase: «La scienza non è democratic­a». Ci sarà una rivolta degli esperti?

«Io spero che si sforzino di dialogare di più con il pubblico. I medici cominciano a farlo perché più di altri vedono le conseguenz­e immediate dell’ignorare i loro consigli, dalle autodiagno­si alla guerra ai vaccini. Ma non sarà facile: a nessuno piace fare la parte dell’adulto che entra nella stanza per dire che la festa è finita ed è ora di andare a letto. Il mio timore è che si chiudano ancora di più, che la politica si riduca a teatro per le masse mentre loro muovono i fili dietro le quinte, senza controllo. Sarebbe la tecnocrazi­a, e io non me la auguro: gli esperti devono essere i servitori, non i padroni, della democrazia».

marilisap

 ??  ?? Martin Klimas (Singen, Germania, 1971), Untitled / Blue Man (2005, stampa fotografic­a su carta, dalla serie Porcelain Figurines), courtesy dell’artista
Martin Klimas (Singen, Germania, 1971), Untitled / Blue Man (2005, stampa fotografic­a su carta, dalla serie Porcelain Figurines), courtesy dell’artista

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