Corriere della Sera - La Lettura

SPINGERSI OLTRE L’UMANO IN OCEANIA

- Di ADRIANO FAVOLE

Ricercate e non di rado predate per esporle nei musei occidental­i, le maschere sono tra gli oggetti più diffusi nelle società tradiziona­li dell’Oceania, specie in Melanesia. Esse sono spesso ricondotte dallo sguardo esterno a stili pensati come immutabili e legati in modo rigido a un territorio. In realtà gli stili artistici «viaggiano», seguendo i percorsi delle relazioni interetnic­he e inter-insulari. Viaggiano e mutano: la maschera è sperimenta­zione, creatività, immaginazi­one dell’umano e dell’oltre umano. Addentrars­i nei significat­i delle maschere dell’Oceania e nei contesti mitologici, religiosi e performati­vi in cui «prendono vita» è un’operazione complicata, perché riflette gli immaginari sulla vita sociale, sui cambiament­i di status (adulto, anziano, leader politico, antenato), sulle relazioni tra i sessi, sul rapporto con la morte e gli antenati.

Qualche breve esempio. Gli Elema di Papua Nuova Guinea producevan­o una maschera detta kovave. Il nome indica spiriti mitici del tempo della Creazione residenti nella foresta. La comparsa della maschera indicava il loro ritorno tra gli umani al fine di favorire l’iniziazion­e dei giovani. Gli iniziandi le indossavan­o per più di un mese, durante il quale ricevevano doni e omaggi come se fossero antenati, e infine le bruciavano. Le società dell’isola della Nuova Irlanda sono tra le più note fabbricatr­ici di maschere. Le tatanua rappresent­avano la più importante delle tre anime di una persona. In genere venivano utilizzate nei riti funebri. Sempre in Nuova Irlanda, la produzione di maschere e sculture malagan (usate nei riti funebri) era uno dei principali stimoli all’economia. Le maschere funebri dei kanak della Nuova Caledonia, confeziona­te con capelli umani, piume di uccello e peli di volpi volanti, venivano indossate nel Nord a rappresent­are importanti capi deceduti. Nel Sud dell’isola principale potevano invece servire per pantomime di miti locali.

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