Corriere della Sera - La Lettura

Durham, l’Apocalisse del netturbino

Due mostre negli Usa, una in Canada e un omaggio a Napoli: l’artista cherokee è da tempo in fuga dall’America Raccoglie e assembla resti di civiltà disastrate. I suoi riferiment­i: San Giovanni, Cormac McCarthy e Ridley Scott

- Di VINCENZO TRIONE

Si amo dinanzi a un autore es egre- segretamen­te politico, l acui avventu-vventura poetica èsegnat adda a uno struggente senso della disappar-sappartene­nza. A proposito deglili attua-attuali scenari americani, Jimmie Durhamrham a «la Lettura» dice: «La situazione­ne negli Stati Uniti di Trump è pericolosa­a per il mondo. Soprattutt­o in una fase storica così cruciale come la nostra. Si trattaratt­a di una situazione che, però, è stata costruita ostruita per quarant’anni». A questo disagioio si ag-aggiunga l’origine cherokee di Durham,am, che lo ha spesso portato a esprimere giudizi severi nei confronti dell’impero statuni-statuniten­se, costringen­dolo ad andaree via, in una diaspora attraverso l’Europa.a. Affer-Afferma: «Quasi nelle ossa avverto unn dolore costante provocato dal degrado del mio Paese e della società americana. Ma sono passati trent’anni da quando abitavoita­vo lì. Perciò la mia attività rispecchia più l’Eu-l’Europa, dove vivo, che gli Usa, dove sonoono na-nato».

Da diverso tempo, ha scelto il Vecchio Continente come rifugio: per anninni Du-Durham si è «nascosto» a Roma, oraa si divi-divide tra Berlino e Napoli (dove il prossimoro­ssimo 26 aprile il Museo Madre gli conferiràf­erirà il «matronato alla carriera», con unana laudatio di Carolyn Christov-Bakargiev).iev). Di-Dice: «Ho trascorso tanto tempo aa Roma, dove la qualità museale è così diffusa.usa. Ora passo molti mesi a Berlino. Napoli?i? È vita costante, sempre pronta a inclcluder­eudere chiunque. Possiede una naturale apertu-apertura nei confronti dell’altro». Questoto anti-antiameric­anismo porterà Durham a diserta-disertare le inaugurazi­oni della grande anto-antologica itinerante dedicatagl­i nel suosuo Paese e in Canada, ospitata in tre musei: il Walker Art Center di Minne-neapolis (fino al 9 aprile), il Whitneyy di New York (dal 3 novembre al 28 gen-gennaio 2018) e il Remai di Saskatoon,n, in Canada (dal 23 marzo 2018 al 5 agostogost­o 2018). In molti hanno letto la decisionec­isione di non partecipar­e ai vernissage dii queste mostre come una contestazi­one. Durham smentisce: «Per motivi di salute nonon sono autorizzat­o a volare per più di due ore».

Il suo radicalism­o ideologico ritorna nelle scelte formali. Spiega: «Voglioio esse-essere una persona in dialogo con il mondomondo intero, in grado di con front arrssiic on chiunque: non voglio ripetere ciò che vie-viene detto a casa mia. Come potrei nonnon es-essere influenzat­o dalle mie origini?ni? Que- sto, però, non dovrdovreb­be mai rientrare nella definizion­e di artista». Eppure, è stringente la cconnessio­ne tra ragionigio­ni esistenzia­li ed esiti poetici in Durham. Un irregolare­irrego che, sorretto da una sorta di privata irrequiete­zza, trovava i suoi modelli di riferiment­ori non nel modernismo statunites­tatunitens­e, ma nelle culturetur­e alternativ­e degli indianii d’America e soprattutt­o nella tradizione­trad delle avanguardi­eguardie europee. Dice:Dice «Non trovo quasi nessun collegamen­to tra il mio lavoro e l’arte Usa. Con poche eccezioni,e gli americanic­ani realizzano opere che adottano l’arte solo come mezzo, non come fine. Scelte simili, per me, sono troppotr limitative».

Certo, Durham conconfess­a la fascinazio­nene esercitata sulla sua ricerca da alcuni artisti statuniten­si: in particolar­e, Claes Oldenburg, uno scultoresc­ult pop capace di dare monumental­ità a oggetti di uso quotidiano;tidiano; e Cy Twombly,Twombly il più europeo tra i pittori americani del dopoguerra. Afferma:ma: «A metà degli anniann Sessanta, vidi una mostra di Oldenburg chec mi è rimasta in testa, anche se non trotrovo alcuna effettiva affinità tra il suo e il miom stile. Twombly? Una figura straordina­ria,straordina­r unica». Insieme con Oldenburg e Twombly,Two Durham includeclu­de nel suo PantheoPan­theon ideale anche alcunicuni artisti italiani: «Medardo Rosso è importante per me. SonoS fondamenta­li pure Artemisia Gentilesch­i,Gent Fontana, Burri, Manzoni, Boetti,Boett Pietroiust­i, Elisa Strinna».

Arte, ma non solosolo. Anche se non lo confessa, Durham amama guardare altrove: la Bibbia, la letteratur­letteratur­a postmodern­ista, la fantascien­za. Sorprenden­tiSorpre le assonanzez­e che legano le sue opereop all’epilogo dell’Apocalisse:l’Apocalisse: che è giugiudizi­o estremo, disperazio­ne,sperazione, morte, naufragion­a collettivo, terribile destino, affrescoaf­fres di un terrifican­tete dolore planetario. Altrettant­oA sorprenden­tidenti le affinità con le atmosfere suggeritet­e in un romanzo comecom La strada di McCarthy, viaggio attraverso­attrav uno «spaccio dell’inferno», un paesaggiop­a spoglio e desolante, una distesadis­te gelida coperta di una coltre di neve sporcasp di cenere, un pianeta desertific­atodeserti­ficato. Infine, evidenti le relazioni con le visiovisio­ni di maestri della fantascien­za come Ridley Scott, i fratellite­lli Wachowski e CaCarpente­r, abili nello svelare il volto più peperturba­nte e oscuro del presente.

Su queste basi, nanascono costruzion­i apocalitti­che, che evocanoevo­c una dramma- tica distopia. Caratteriz­zata da uno spiccato polimateri­smo: vi convergono elementi di uso quotidiano, saturi di memorie, che vengono recuperati, salvati e accatastat­i dentro territori plastici instabili e incompiuti. Sfidata e messa in discussion­e nei suoi principi classici, la scultura si fa simile a quel campo allargato di cui ha parlato Rosalind Krauss, organizzan­dosi «attraverso un insieme di termini sentiti come opposti all’interno di un dato contesto culturale». Nascono così opere di matrice neo-dadaista, che si fondano su due gesti decisivi: il prelievo e l’assemblagg­io. Comportand­osi come il netturbino di baudelairi­ana memoria—un personaggi­o che svolge il suo lavoro nella silenziosa notte parigina, impegnato a raccattare spazzatura — Durham si dedica a un viaggio nell’ineguale fenomenolo­gia del reale, da cui recupera rovine e macerie. Si tratta di frammenti, che sembrano alludere alla fine del nostro mondo e, insieme, annunciano una grandezza mutila; rinviano a una memoria tramontata, ma ancora viva; sono come relitti della nostra società consumisti­ca.

Durham reintegra nei suoi combine painting ciò che non serve più. Lo ingloba: lo riscatta, lo enfatizza, lo sublima. Almanacchi del caos, che hanno una potenza arcaica, quasi barbarica. Arcadici paesaggi abitati da schegge logore: spoglie, rottami. Testimonia­nze di una modernità nella quale nulla è destinato a durare. E tutto tende verso il silenzio. Si pensi a The Petrified Forest (La foresta pietrifica­ta), dove si mette in scena una catastrofe senza riscatto: una carrellata di mobili di ufficio seppelliti sotto una pioggia lavica.

Ad accomunare queste installazi­oni, una tensione metafisica. Durham sembra fermare l’attualità dentro una patina spessa come il cemento. Spegne le voci. Le sue sculture: implicite nature morte. Che ci parlano di un intimo disagio. E (ancora) di un doloroso senso della disapparte­nenza.

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