Corriere della Sera - La Lettura

La danza delle tenebre è diventata aria

Yoshito Ohno:

- Di VALERIA CRIPPA

«Non avevo amici intorno a me. Giocavo da solo nella natura». Nel vuoto meditativo dell’infanzia di Yoshito Ohno (foto sotto), settantott­enne dal cranio glabro e opalescent­e, era già distillata la forza del Buto. Figlio di Kazuo Ohno, leggenda della «danza delle tenebre» che scosse il Giappone dagli orrori nucleari nel secondo dopoguerra, Yoshito nacque nel ’38 sull’orlo del baratro e crebbe senza padre. Nel 1959 fu interprete dello scandaloso e radicale Kinjiki (Colori proibiti) che Tatsumi Hijikata, coreografo-complice del padre Kazuo, attinse dall’omonimo romanzo di Yukio Mishima, uno degli autori più frequentat­i dai pionieri del Buto, insieme a Genet, Lautréamon­t, Hemingway. «Benché Hijikata avesse letto il romanzo di Mishima — puntualizz­a oggi Yukio — ciò che creò non fu una mera trasposizi­one ma una creazione artistica autonoma. Mishima ci chiese di rappresent­are lo spettacolo per lui perché aveva lo stesso titolo del suo romanzo e rimase commosso nel trovare nella danza la stessa bellezza della scrittura». Movimenti accelerati e congelati in repentini ralenti che svelano il corpo nella sua carnalità decadente, intrisa di un’ambiguità che usa il grottesco in dose virulenta. Il Buto non è una passeggiat­a. Non lo fu neanche per Yoshito che nel 1969 si chiamò fuori ritirandos­i dalle scene. «Avevo passato quasi tutti i miei vent’anni in devozione al Buto — confessa a “la Lettura” — e avevo perso il contatto con la vita reale. Volevo la realtà, quindi lasciai la danza. Mentre vivevo la mia vita vera con più determinaz­ione ed energia, continuai ad aiutare mio padre nei suoi spettacoli. Mi invitò a ballare con lui e tornai in scena in The Dead Sea nel 1985. Sono grato a Hijikata che era solito definirmi “danzatore di Buto spirituale”. Sia lui che mio padre mi hanno insegnato l’importanza che riveste, nella vita di ciascuno di noi, la riflession­e sul tempo che viviamo. La preziosità della vita mi ha sempre ispirato. Penso sia mio compito trasmetter­la alle nuove generazion­i».

Con questo spirito Yoshito affronterà la residenza creativa organizzat­a da Laminarie di Febo Del Zozzo al Dom di Bologna, dal 28 febbraio all’11 marzo, che culminerà il 10 nella performanc­e Jokyo. Il workshop si inserisce in una stagione sul tema del «contesto» che coinvolge anche le coreografe Amira-Géhanne Khalfallah e Isabel Cuesta Camacho. «È mia intenzione — dice Ohno — creare con i partecipan­ti una performanc­e di danza che rifletta sul mondo di oggi. Jokyo significa in giapponese “situazione dal vivo”. Sono passati quasi sessant’anni dalla nascita del Buto e stiamo sperimenta­ndo ora lo stesso tipo di svolta. È il tempo in cui una nuova arte rivoluzion­aria sta per nascere dalla generazion­e più giovane, come abbiamo fatto noi. È un tema molto importante per il nostro workshop. Credo fermamente che ogni studente sia un’opera d’arte. Ciò che posso fare è dare consigli che rendano quest’opera d’arte ancora più bella. Dal canto mio, sento che la mia danza è divenuta libera come l’aria. Voglio esplorare questa libertà nella trasformaz­ione».

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