Corriere della Sera - La Lettura
I tre valzer in chiesa del giovane Puccini
Era già lui? Quando quattordicenne, a Lucca, si sedeva all’organo della chiesa di San Girolamo per portare a casa lo stipendio, Puccini stava già coltivando i semi delle opere che lo avrebbero reso celebre nel mondo? Oppure in quei dieci anni (1872-1882) aveva svolto semplicemente un servizio liturgico, componendo i brani che la sua formazione di organista e di maestro di cappella lo metteva in grado di scrivere?
La pubblicazione della produzione organistica pucciniana, che uscirà entro l’anno nell’ambito dell’Edizione Nazionale delle sue opere presso l’editore Carus di Stoccarda grazie alle cure di Virgilio Bernardoni, offre una duplice risposta. Da un lato è un no, secco: quelle composte da Puccini per il proprio autoconsumo nel servizio sacro sono pagine funzionali, che qualunque suo collega avrebbe potuto scrivere. E infatti il Puccini più esperto, ormai trasferitosi a Milano, non farà mai cenno a questa produzione giovanile, né muoverà un dito per farla pubblicare, come sarebbe stato facile fare. Ma dall’altra sì, c’era già qualcosa del futuro autore della Bohème. Perché tra i fogli ritrovati si trovano ben tre valzer. Senza dubbio destinati all’organo — vi figurano in margine le indicazioni sul tipo di registri da usare — ma alquanto bizzarri nelle consuetudini della musica sacra. In chiusura della liturgia, alla fine dell’Ottocento era infatti d’uso eseguire una marcia. E lui, invece, scrive dei valzer. Semplici, eleganti, che a noi rimandano inevitabilmente a quello di Musetta. E che, suggerisce qualcuno, forse erano il vero motivo per il quale, come raccontano le biografie del compositore, le monache trasalivano impallidendo: il ritmo della più frivola e borghese delle danze non era certo quello che ci si aspettava alla fine di una messa.
Volendo insistere nel cercare un Dna pucciniano tra questi fogli sparsi, ci si imbatte anche, a un certo punto, in una scala di accordi discendenti che ha il sapore del Puccini a noi noto. Sono poche battute, segnate dal nuovo gusto armonico fin de siècle, che effettivamente potrebbero trovare spazio, ancora, nella Bohème. E così ascoltarle all’organo, come accadrà in maggio al festival Lucca Classica (dove è in cartellone anche un mio brano), sarà molto curioso.