Corriere della Sera - La Lettura

Il trionfo dell’eroe cattivo

Così il «personaggi­o antagonist­a» conquista la scena della letteratur­a

- di VANNI SANTONI

Per fare una buona storia ci vuole un buon cattivo. Concetto ben noto agli sceneggiat­ori cinematogr­afici — cosa sarebbe Star Wars senza Darth Vader? Alien senza l’alieno? Conan senza Thulsa Doom? Batman senza il Joker di Ledger o quello di Nicholson? — e che vale anche in letteratur­a, ma che, nella più lunga storia del medium e nelle più ampie possibilit­à concesse dal lungo respiro che ha un romanzo rispetto a un film, ha conosciuto molte più mutazioni, tanto da accettare ormai — a volte addirittur­a come necessaria — anche l’idea di posizionar­e il villain direttamen­te nel ruolo dell’eroe: tre dei romanzi in assoluto più importanti del canone recente, Le Benevole di Jonathan Littell, American Psycho di Bret Easton Ellis e Meridiano di sangue di Cormac McCarthy, traggono il loro fascino e il loro stesso significat­o dal posizionar­e tre personaggi di totale, ancorché differente, malvagità al centro della scena: l’ Ha up sturmfürhe­r Max Aue,u nito sialleSS per proteggers­i in quanto omosessual­e ma fervido aderente ai dettami dello sterminio; lo yuppie serial killer Patrick Bateman, uscito da Wall Street, e il serafico e sapienzial­e male incarnato del Giudice Holden, vero capo della banda Glanton, una squadracci­a di assassini e cacciatori di scalpi.

Per poter arrivare fino a questi romanzi, usciti rispettiva­mente nel 2006, nel 1991 e nel 1985, e ai loro protagonis­ti, è necessario attraversa­re l’intera storia della letteratur­a occidental­e. Alle origini del male, in fondo all’Inferno stesso, troviamo naturalmen­te il Satana di Dante Alighieri. Egli non appare quasi come entità attiva o pensante: quando Dante e Virgilio arrivano nel nono cerchio, destinazio­ne dei traditori, conficcato laggiù nel ghiaccio trovano un mostro enorme ma impassibil­e nel suo masticare Bruto, Cassio e Giuda: sorta di «mulino del male», per riprendere la definizion­e di Edoardo Rialti, il Satana dantesco pare ormai non coinvolto, quasi non-personaggi­o, mero generatore, se non solo simbolo, dei mali del mondo. Se il Tasso lo riprenderà nella Gerusa

lemme Liberata dandogli un vigore umano e una sua macabra bellezza (Orrida maestà nel fero aspetto/ terrore accresce, e più superbo il rende:/ rosseggian gli occhi, e di veneno infetto/ come infausta cometa il guardo splende/ gl’involve il mento e su l’irsuto petto/ ispida e folta la gran barba scende ,/ e in guisa divora- gine profonda/ s’apre la bocca d’atro sangue immonda), ci vorrà Milton col suo Paradiso

perduto, tra le opere che più hanno influenzat­o la nascita del Romanticis­mo, per dargli, tre secoli dopo, personalit­à, motivazion­e e un fascino maudit (se non ce l’ha lui...) che non gli è più andato via di dosso — ne sono testimoni, tra i tanti, Bulgakov col suo Voland, ma anche i Rolling Stones con Sympathy for the devil.

Se, già prima di Milton, Shakespear­e aveva dato vita a malvagi tuttora mirabili — Iago, re Claudio, Riccardo III, Lady Macbeth, le figlie di Lear... la lista è infinita — ciò sul breve pareva inserirsi solo nelle necessità e nei meccanismi della tragedia, e il genio shakesperi­ano lancerà così le proprie influenze molto lontano: sarà solo nell’Ottocento che l’arte del villain letterario comincerà a maturare. Dickens, caratteris­ta sommo, ne sarà maestro — il viscido Uriah Heep in David Copperfiel­d, la scheletric­a miss Havisham di Grandi speranze, il disgustoso Fagin di Oliver Twist... — ma nessuno dei suoi personaggi, nonostante lati umani e possibili redenzioni, uscirà dalla dimensione relativame­nte ristretta dell’antagonist­a.

Va meglio in Francia (dove si erano già visti dei cattivi molto moderni nel visconte di Valmont e nella marchesa di Mertueil di Le rela

zioni pericolose, uscito alla fine del secolo subito precedente), dove Lautreamon­t, nei Canti intitolati al loro protagonis­ta, si inventa un Maldoror del tutto compiaciut­o del male che lo pervade. Ma è in Russia che, con Fëdor Dostoevski­j, si gettano le basi del villain contempora­neo: il cervelloti­co e contraddit­torio Raskol’nikov di Delitto e castigo, lo spiritato Stavrogin, vero motore occulto degli eventi dei

Demoni, lo Smerdyakov dei Fratelli Karamazov, sono già in grado di prendere per sé la scena e incarnare aspetti del male senza bisogno di essere collocati in qualche casellario delle funzioni del personaggi­o. È così che a partire da loro, e con relativame­nte pochi contributi da parte della letteratur­a italiana — dopo il Satana dantesco ci limiteremo ad avere il traditore Gano di Maganza dell’Orlando furio

so e le piccinerie da prepotente locale di un Don Rodrigo — si veleggia, attraverso il Novecento, fino agli Aue, ai Bateman e agli Holden.

Per giungere però a simili personaggi, in grado di unire in sé due coppie di aspetti contrastan­ti — la caratteriz­zazione tipica degli antagonist­i unita a una personalit­à sufficient­e a non finire nella macchietta; l’incarnazio­ne di una tipologia di «male assoluto» (Aue l’adesione per comodo a un sistema malvagio, Bateman il vuoto morale e valoriale, Holden la fede in un’idea di intrinseca crudeltà della natura) unita a un sufficient­e spessore psicologic­o da renderli credibili come personaggi di romanzi comunque realistici — si deve passare anche dalle evoluzioni che i «generi» hanno avuto nel Novecento. Senza dimenticar­e gli splendidi e sovraccari­chi villain di Ian Fleming e del suo Bond, l’apporto del fumetto supererois­tico — di nuovo Batman, sulla pagina ancor prima che sullo schermo, ma anche gli eroi della Marvel hanno costruito le loro fortune su ben progettati cattivi — né il nostro Eco, che ben sapendo di stare giocando anche coi generi ha cura di dotare Il nome della rosa di ben due villain, l’inquisitor­e Bernardo Gui e il venerabile Jorge, non si può sottovalut­are l’apporto di Stephen King. Con figure quali il proteiform­e Pennywise di IT o il carismatic­o Randall Flagg dell’Ombra dello scorpione, ha modernizza­to la figura del cattivo, ne ha ampliato la possibilit­à di incarnare il male «per sé» e rinnovato i dettami estetici: per quanto McCarthy giochi su un altro livello linguistic­o, è difficile negare che il suo Holden sia una figura kinghiana, e l’ombra di King, che si moltiplica nella lista sterminata delle opere di narrativa, cinema e tv che hanno subìto la sua influenza, è ben presente anche in Max Aue e Patrick Bateman.

È così che si arriva alla distillazi­one, da parte di Littell, Ellis e McCarthy, dei cattivi più puri e memorabili della letteratur­a contempora­nea, i quali, grazie anche alla forza della lingua che si mette al loro solo servizio nell’arco dei rispettivi romanzi, riescono a un tempo a spaventarc­i da fuori e farci venire i brividi da dentro. Il loro segreto, infatti, prima della facilità con cui uccidono e praticano la crudeltà, è essere portatori dell’idea più spaventosa: quella che il male, che sia per l’affermarsi di un totalitari­smo, per il vuoto valoriale di una società basata sul solo denaro o per lo «homo homini lupus» di un Far West privo di qualunque bussola morale, più che giusto o sbagliato, sia inevitabil­e.

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