Corriere della Sera - La Lettura
I 15 Paesi Senza Macchia per vacanze politicamente corrette
È un gioco, ma è abbastanza serio. Abbiamo provato a immaginare un viaggiatore europeo (un cittadino dell’Unione Europea) che sta organizzando una visita fuori dai confini dell’Ue. Ma non una visita qualsiasi, perché è un viaggiatore attento ai diritti um
C’è chi ha aspettato una vita prima di prendere in considerazione un viaggio in Birmania. Per anni, dalla sua prigione in riva al lago di Rangoon, Aung San Suu Kyi ha implorato il mondo e i turisti di non andare in Myanmar sotto il giogo della dittatura: «Se venite, date legittimità ai generali». Incredibilmente, per quei miracoli da Nobel per la pace, nel 2016 al governo è arrivata lei. Fine dell’«embargo»? Quando finalmente ci pregustavamo la visione della Pagoda d’Oro di Rangoon, ecco che la signora Suu Kyi è stata messa sotto accusa dalla comunità internazionale per il silenzio sulle persecuzioni ai danni della minoranza Rohingya. Una macchia, una delusione tale da far passare la voglia di Pagoda. Rimandato il viaggio in Birmania, il viaggiatore «eticamente responsabile» si può consolare con una puntata tra i templi di Bali? Certo l’Indonesia non è una dittatura, però mantiene la pena di morte, e in base alle classifiche di organismi come Freedom House non è un Paese completamente «libero». Cambiamo meta: una vacanza nella solare, pacifica Australia, con scalo tra le moderne guglie di Dubai? Un momento: è vero che gli Emirati sono contro l’Isis, però bombardano gli antichi grattacieli di Sana’a e i bambini nello Yemen. Mentre la pacifica Australia adotta nei confronti dei migranti una politica di segregazione condannata da paladini dei diritti umani come Amnesty International. D’accordo, si dirà che questo è un «peccato» minimo: mica parliamo della Corea del Nord! Ma è pur vero che, laddove le aspettative sono più alte, i peccati sono meno giustificabili. Dunque, per il momento, niente Australia. Dove dirigersi alla ricerca di un Paese senza macchia: Madagascar, Argentina, Maldive?
È un gioco abbastanza serio, e «la Lettura» ha provato a farlo. Rispondere a questa domanda (planisfero alla mano): dove potremmo andare se volessimo, per una volta, viaggiare senza il minimo cruccio politically cor
rect, senza remore etiche, senza il più piccolo sospetto che i nostri soldi e il nostro interesse finiscano spalmati su un Paese (su un establishment) che al momento della partenza ha qualcosa da farsi perdonare (ai propri cittadini e al mondo)? Non soltanto porre il problema dell’impatto del nostro viaggiare sulla sostenibilità dei luoghi visitati ( ethical travel). Ma chiedersi: è possibile, e quanto ci costa, viaggiare in LSM (Luoghi Senza Macchia)? Posti che, comunque la si pensi, siano «in sintonia» con quelli che Abraham Lincoln ha chiamato the best angels of our nature? Che diamine: certo che sì. Tra i quasi 200 Stati dell’Onu, ci sarà solo l’imbarazzo della scelta.
Giusto? Sbagliato. Dipende. Dai filtri, dalle lenti, dal rigore che impieghiamo per scandagliare il nostro pianeta nell’anno domini 2017. Il punto di partenza è l’Italia, anzi l’Europa. Nel «gioco» consideriamo fuori classifica i Paesi «di casa», i Paesi della Ue. Dove, almeno sulla carta, «i migliori angeli della nostra natura» dovrebbero avere la meglio sui peggiori. Con tante eccezioni, lo sappiamo: «il gioco dei filtri» si potrebbe applicare pure all’interno dell’Unione. Il viaggiatore, per default, è allergico alle barriere, alle diffidenze per lo straniero. Così, dopo «la porta in faccia» rappresentata dalla Brexit, c’è chi ha meno voglia di recarsi in Gran Bretagna. Il successo annunciato del partito xenofobo in Olanda appanna il fascino di mulini e tulipani. Budapest sotto il governo Orban perde appeal. La stessa Italia, nell’ultima pagella di Transparency International, su un punteggio da 0 a 100 si ferma a 47: in base al filtro della «corruzione percepita», anche noi siamo esclusi dal paradiso dei Luoghi Senza Macchia.
Chi si salva, allora, sulla mappa LSM?
Escludiamo subito quella sessantina di Paesi che non hanno abolito la pena di morte, dall’Afghanistan allo Yemen, passando per gli Usa di Donald Trump. Un’altra corposa «sfoltita» si ottiene passando sul mappamondo la rete «a maglie variabili» che misura la libertà. Usiamo come rete il rapporto Freedom in the
World 2017 appena sfornato dall’autorevole think-tank americano Freedom House, che per l’undicesimo anno consecutivo registra il declino della «libertà globale» incalzata da «populisti e autocrati». Su 195 Paesi presi in esame, 87 (il 45%) sono considerati «liberi», 59 (30%) «parzialmente liberi» e 49 (il 25%)
not free. Un totale di 67 Paesi ha sofferto un declino delle libertà civili e dei diritti politici nel 2016 (i peggiori: Repubblica Centrafricana e Turchia), mentre 36 hanno registrato passi avanti. Per «il viaggiatore LSM» il verdetto di Freedom House elimina molte mete possibili: dalla Piazza Rossa nell’era di Vladimir Putin alla Grande Muraglia cinese, dal Sudafrica di Jacob Zuma a Istanbul, dalle Filippine del presidente-killer Rodrigo Duterte alla Thailandia della giunta militare. Persino un gigante de- mocratico come il Brasile sta percorrendo a ritroso la via della libertà. Freedom House fa il ritratto di un Paese che arretra, dove «l’intera classe politica» è accusata di corruzione.
Usando un «filtro» molto forte, via anche il Brasile e i Paesi e i territori che hanno peggiorato di molto il loro score da Hong Kong all’Etiopia. E via i Paesi che hanno avuto paura di aderire al Tribunale Penale Internazionale o vogliono uscirne. Alla larga da quanti, pur liberi e democratici, hanno implementato o mantengono misure di impronta xenofoba (come l’Australia o Myanmar).
Questo mondo già così ridotto a una trentina di Paesi Senza Macchia viene ora passato al setaccio di Transparency International, l’Indice di Corruzione Percepita pubblicato poche settimane fa dall’organismo più autorevole del settore. Non passa chi non supera il punteggio di 50 (la media su 175 Paesi considerati si ferma a 43). Cadono nazioni che erano finora passate indenni, come Argentina e Mongolia, lo stesso Brasile, Suriname, Senegal, Perù, Benin, Ghana, Albania... Anche Timor-Est, tagliata fuori pure sul fronte ambientale, per non aver firmato il Patto di Pari- gi per la riduzione del Global Warming.
Dal nostro gioco ci sono Paesi esclusi su va r i pa r a metr i (p e r esempio il Sudan o la Bielorussia), altri che cadono su un solo ostacolo. L’altrimenti virtuosa Svizzera, per dire, è bocciata perché sta in cima alla lista dei paradisi fiscali stilata da Oxfam International. Il civile Giappone viene escluso dai Paesi LSM in base alla black list di Greenpeace sulla caccia alle balene, oltre che per la pena di morte.
Alla fine (salvo errori e omissioni) rimangono in campo 15 Paesi. Circa due per ogni continente: Capo Verde e Namibia per l’Africa; Islanda e Norvegia per l’Europa non Ue; Cile e Uruguay in Sudamerica; Costa Rica e Grenada in America Centrale. Il Canada a Nord, la Nuova Zelanda all’estremo Sud. Più una manciata di isole tra Oceano Indiano e Pacifico: Mauritius, Tonga, Tuvalu, Samoa, la Micronesia. Un mondo sparso e microscopico, in tutto 80 milioni di abitanti. Un mondo senza macchia (fino a prova contraria).