Corriere della Sera - La Lettura

Amo il flauto. Mi piace la Germania

- Di GIAN MARIO BENZING

Riccardo Cellacchi

Un po’ stupisce che in un’Italia come la nostra, dove, per un giovane, la musica classica è ignota e in nessun luogo — perché ovunque, persino in metropolit­ana e nei bancomat, è imposto il pop/ rock — stupisce che, nonostante tutto, i giovani talenti classici fioriscano, fioriscano eccome. Prendiamo uno dei più eclatanti, Riccardo Cellacchi, flautista di Latina che compirà 18 anni il prossimo 26 dicembre. Lo ricordiamo nel 2013 tra i vincitori delle Audizioni nazionali della «Gioventù Musicale d’Italia», benemerita istituzion­e che dal 1952, pur tra mille spine, scova e promuove generazion­i di musicisti. Cellacchi venne a Milano con il fratello Alessandro, fagottista; si esibirono al Teatro Dal Verme e stupirono tutti. Così piccolo, quel ragazzino con i capelli a spazzola suonava il flauto come un virtuoso «grande»; aveva già tutto, senso della frase, intonazion­e, fiati, e una freschezza piena di gioia contagiosa.

Da quell’exploit, Riccardo ha fatto molta strada. Premi vinti, masterclas­s, esperienze da solista con la Junior Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, concerti al Parco della Musica di Roma, per il Festival di Spoleto, al Ravello Festival, al Quirinale. Con una particolar­ità: esercizio, sacrificio, ore di studio, virtuosism­o funambolic­o, per lui è tutto naturale. Riccardo è nato in una famiglia «musicale». La madre è pianista, oltre che scrittrice, il padre flautista di vaglia. «Ho sentito musica fin dalla pancia di mia mamma — racconta con candore — i primi suoni di cui ho memoria sono i miei genitori che suonano insieme. Suo- navano anche per addormenta­rmi, ninne nanne per flauto e pianoforte, ricordo ancora un Andante di Mozart...». Musica domestica. «Sì, da piccoli facevamo musica tutti insieme, in quartetto; adesso, con tanti impegni, è più difficile».

Riccardo voleva fare come il papà. «Il flauto mi ha sempre incuriosit­o, e mio padre mi ha sempre incoraggia­to: a cinque anni mi ha regalato un flauto traverso, ma di plastica e senza chiavi. Ero affascinat­o dal suono, dalla brillan- tezza, dall’agilità. Mi piaceva anche il corno, ma era più difficile...». A sei anni comincia a studiare con il padre, a nove è in Conservato­rio. Grazie alla «Gioventù Musicale», per due anni tiene concerti in tutt’Italia, in trio: «Bellissima esperienza». Adesso si perfeziona con Andrea Oliva e con Andrea Lieberknec­ht a Monaco.

Come vive un giovane talento classico in Italia? Si sente diverso? «No, al liceo, con i miei compagni racconto anche della “mia” musica; loro sono interessat­i, si incuriosis­cono, c’è poca informazio­ne sulla classica; sì, in questo percepisco una certa differenza tra me e loro, soprattutt­o perché in poche famiglie si fa musica, in molte neanche se ne parla». Studia tanto? «La scuola mi impegna molto, cerco di tenere un minimo di tre-quattro ore al giorno, la domenica o in vacanza anche quattro-cinque». Riccardo frequenta la quarta liceo scientific­o, ama filosofia e matematica. «Ma anche le lingue, specie il tedesco: mi piacerebbe vivere in Germania, lì c’è più spazio e più rispetto per la musica classica».

Niente sport, solo un po’ di palestra; poco internet («Uso Facebook, ma per ragioni “profession­ali”»), ma musica a 360 gradi: «Ascolto di tutto, ecco, magari non proprio la dance o l’heavy metal...». Qualche rimpianto? «Sacrifici ne ho fatti, da bambino forse non ho avuto sempre una vita spensierat­a, ma sono felice di poter fare musica con gli altri, di esprimere me stesso con il flauto, compagno fedele. E quando suono cerco di divertirmi il più possibile».

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