Corriere della Sera - La Lettura
Che sul Piave salvò l’Italia
La generazione in bianco e nero
Il ricordo della Grande guerra è vivo. Le canzoni degli alpini, Redipuglia, i monumenti ai caduti, il 4 novembre sono un filo di memoria che ci unisce ancora a quegli anni drammatici. Vi appartengono anche i «ragazzi del ’99», termine che nel linguaggio comune è diventato sinonimo di entusiasmo, impegno e freschezza. Per comprendere chi fossero dobbiamo tornare indietro di cent’anni. Era l’autunno 1917 quando reparti austro-tedeschi attaccarono le posizioni italiane presso Caporetto, creando una crepa nella diga di trincee che andava da Monfalcone al Trentino. La crepa poi divenne una falla e infine un disastro. Dopo oltre due anni di lotta massacrante che aveva stritolato fiducia e speranze, il fronte italiano si sfasciò e cominciò una disperata ritirata attraverso il Friuli e il Veneto; quando si arrestò finalmente sul fiume Piave, cominciò un’altra guerra.
Sostituito il duro e anziano comandante in capo Luigi Cadorna con il più giovane Armando Diaz, le ostilità presero un altro corso: più attenzione alle esigenze fisiche e psicologiche del soldato, miglior armamento e dottrine militari più consone alla guerra moderna. Ma soprattutto sul Piave cambiò la percezione del conflitto: una propaganda finalmente efficace fece capire ai soldati che era in gioco la salvezza della patria e li convinse che l’intera nazione era al loro fianco, partecipe degli sforzi e dei sacrifici. Di questo nuovo sentimento furono simbolo i giovani della leva del 1899, che arrivarono in linea proprio sul Piave appena compiuti i 18 anni, o perfino prima. Non erano studentelli imberbi, poco più che bambini: erano in maggioranza contadini e nelle campagne di allora, a quell’età, si era uomini fatti. Il carattere che li rese speciali e degni di memoria è che giunsero nelle trincee in massa, per ripianare gli enormi vuoti lasciati dal disastro di Caporetto. Tanta gioventù buttata nella fornace delle trincee ebbe un effetto straordinariamente benefico sui veterani precocemente invecchiati nella guerra del Carso e usurati dalla ritirata: giovani inesperti a cui offrire sostegno e aiuto e che in cambio portavano freschezza ed entusiasmo.
Così assieme al cambio di comando, alla sensazione di combattere per difendere la propria casa e all’arrivo di aiuti in uomini e materiali dai Paesi alleati, i ragazzi del ’99 rappresentarono uno dei capisaldi attorno ai quali si stabilì una rinnovata volontà di combattere che portò prima a fermare l’offensiva nemica e poi a contrattaccare vittoriosamente giungendo alla fine della guerra.