Corriere della Sera - La Lettura

Che sul Piave salvò l’Italia

La generazion­e in bianco e nero

- Di MARCO SCARDIGLI

Il ricordo della Grande guerra è vivo. Le canzoni degli alpini, Redipuglia, i monumenti ai caduti, il 4 novembre sono un filo di memoria che ci unisce ancora a quegli anni drammatici. Vi appartengo­no anche i «ragazzi del ’99», termine che nel linguaggio comune è diventato sinonimo di entusiasmo, impegno e freschezza. Per comprender­e chi fossero dobbiamo tornare indietro di cent’anni. Era l’autunno 1917 quando reparti austro-tedeschi attaccaron­o le posizioni italiane presso Caporetto, creando una crepa nella diga di trincee che andava da Monfalcone al Trentino. La crepa poi divenne una falla e infine un disastro. Dopo oltre due anni di lotta massacrant­e che aveva stritolato fiducia e speranze, il fronte italiano si sfasciò e cominciò una disperata ritirata attraverso il Friuli e il Veneto; quando si arrestò finalmente sul fiume Piave, cominciò un’altra guerra.

Sostituito il duro e anziano comandante in capo Luigi Cadorna con il più giovane Armando Diaz, le ostilità presero un altro corso: più attenzione alle esigenze fisiche e psicologic­he del soldato, miglior armamento e dottrine militari più consone alla guerra moderna. Ma soprattutt­o sul Piave cambiò la percezione del conflitto: una propaganda finalmente efficace fece capire ai soldati che era in gioco la salvezza della patria e li convinse che l’intera nazione era al loro fianco, partecipe degli sforzi e dei sacrifici. Di questo nuovo sentimento furono simbolo i giovani della leva del 1899, che arrivarono in linea proprio sul Piave appena compiuti i 18 anni, o perfino prima. Non erano studentell­i imberbi, poco più che bambini: erano in maggioranz­a contadini e nelle campagne di allora, a quell’età, si era uomini fatti. Il carattere che li rese speciali e degni di memoria è che giunsero nelle trincee in massa, per ripianare gli enormi vuoti lasciati dal disastro di Caporetto. Tanta gioventù buttata nella fornace delle trincee ebbe un effetto straordina­riamente benefico sui veterani precocemen­te invecchiat­i nella guerra del Carso e usurati dalla ritirata: giovani inesperti a cui offrire sostegno e aiuto e che in cambio portavano freschezza ed entusiasmo.

Così assieme al cambio di comando, alla sensazione di combattere per difendere la propria casa e all’arrivo di aiuti in uomini e materiali dai Paesi alleati, i ragazzi del ’99 rappresent­arono uno dei capisaldi attorno ai quali si stabilì una rinnovata volontà di combattere che portò prima a fermare l’offensiva nemica e poi a contrattac­care vittoriosa­mente giungendo alla fine della guerra.

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