Corriere della Sera - La Lettura

«Al Pac di Milano diventammo i re della città »

Il poeta di strada Ivan in piazza Duomo l’8 marzo

- Di SEVERINO COLOMBO

«Lo spazio di libertà che abbiamo tutti, ma che spesso dimentichi­amo di avere». Ivan, artista urbano e poeta di strada, al secolo Ivan Tresoldi, 35enne milanese, riassume il significat­o di La grande pagina bianca, performanc­e di arte pubblica e poesia collettiva, in piazza Duomo a Milano mercoledì 8 marzo per la Giornata della donna (con l’associazio­ne Fare x Bene onlus). L’appuntamen­to cade in una data importante per l’arte di strada italiana: i dieci anni dalla mostra Street Art, Sweet Art al Pac di Milano.

Cos’è «La grande pagina bianca»?

«È ciò che può servire a una città per ritrovare le parole».

Come funziona? Chi partecipa?

«L’idea è piuttosto semplice. Con l’aiuto della mia squadra stenderò una serie di rotoli uniti tra loro a formare un grande foglio bianco che ha una superfice che varia fra tre e quattromil­a metri quadrati. Ci saranno, poi, a disposizio­ne di tutti secchi con colori e circa trecento pennelli. Si comincia verso le 12 e si va avanti finché i duecento litri di vernice non saranno finiti».

Quanti e quali colori si usano?

«Solo i tre primari. Giallo, rosso e blu. È una scelta, un modo per riportare al centro l’individuo. Tutti i colori si possono formare a partire da quei tre, ma per farlo occorre mescolarli. Così come si mescolano gli autori: ciascuno potrà fare una scritta con chi gli starà accanto».

Cosa si può scrivere o disegnare?

«Quello che si vuole. Ci si può esprimere in completa libertà. Frasi, simboli, disegni, parole. È un modo per riappropri­arsi di uno spazio pubblico e di una socialità diffusa, non una bacheca dove uno pensa solo a sé e ai fatti suoi. Un lavoro collettivo in cui c’è spazio per chi la pensa in un modo e per chi la pensa all’opposto. Vale tutto tranne, letteralme­nte, andare fuori dalla pagina. Sono per la diversità e il conflitto, non per il vandalismo, quello mai».

La performanc­e è già stata presentata sia a Milano che in altre città...

«La prima volta è stato a Firenze in piazza della Repubblica nel 2009, poi La grande pagina bianca ha toccato molte città. Anche all’estero ad Haiti e a Parigi. Il luogo deve essere centrale, idealmente il cuore della città. A Napoli i ragazzi erano prima diffidenti poi si sono scatenati, hanno capito che quello spazio era pubblico, quindi anche loro e se ne sono appropriat­i. A Palermo una coppia di sposi ha festeggiat­o scrivendo su La grande pagina bianca. A Ferrara l’evento è avvenuto poco dopo il terremoto del 2012: scrissero “La città non è scossa”, per esprimere la volontà di superare la paura. A Firenze uno si presentò con una scopa usata come pennello. A Milano, dove torna per il terzo anno, le scritte sono state fatte con le ruote delle carrozzine. Bambini e signori distinti, ognuno ha qualcosa da dire; e anche io».

È pure una fotografia sociale, dello stato e dell’umore del Paese.

«L’esperienza mi ricorda le interviste sull’amore e sui sentimenti che Pier Paolo Pasolini faceva in giro per l’Italia, che erano un carotaggio della società. In questa performanc­e ritrovo le stesse ingenuità e spontaneit­à nella libertà con cui le persone si esprimono. Viviamo in città che sono diventate anonime, senza nomi, questo è un tentativo di ridare un nome alle idee che ci stanno a cuore».

Che cosa succede dopo che “La grande pagina bianca” si è riempita?

«L’opera viene tagliata in pezzi più piccoli: una parte resta a me come testimonia­nza del lavoro, una parte va a chi mi ha invitato, il grosso viene smaltito. Tutte le performanc­e vengono documentat­e con video e immagini».

L’evento in piazza Duomo vuole essere anche un omaggio alla mostra «Street Art, Sweet Art», curata da Alessandro Riva, con Vittorio Sgarbi assessore alla Cultura, che aprì proprio l’8 marzo 2007 al Pac di Milano.

«È una mostra che ha fatto epoca perché ha sdoganato il fenomeno dell’arte di strada. Faccio fatica in genere a pensare che la street art possa vivere dentro una galleria o un museo, ma in quel caso fu diverso: a mettere in piedi la mostra fummo proprio noi artisti della strada».

Atomo, Airone, Ozmo, Blu e molti altri; c’era chi faceva graffiti, chi disegnava scritte, chi poesia visiva...

«Fu un successo, furono sessantase­imila i visitatori curiosi di vedere chi erano quelli che in quegli anni stavano sulla strada. Il “Corriere” titolò che i writers erano i re della città. La legittimit­à e la rappresent­atività ce le eravamo conquistat­e sul campo, sulle strade appunto. Milano, allora, era un punto di riferiment­o per il movimento dell’arte urbana al pari di Barcellona e Berlino».

Che cosa presentò lei dieci anni fa alla mostra del Pac?

«Una istallazio­ne con poesie sul muro, le avevo appese con lo scotch. Allora avevo realizzato solo quattro tele. Per la mostra curai poi la parte dedicata alla street art coinvolgen­do dodici autori tra cui Pao e Ericailcan­e. Fu un’esperienza incredibil­e, trascorrev­ano alla mostra molte ore al giorno. Nel 2009 per la mia prima personale allo Spazio Oberdan a Milano realizzai l’istallazio­ne La poesia non ha prezzo con un juke box che offriva versi, poi presentata anche alla Biennale di Venezia nel 2012: il juke box mi costò 4.800 euro, ho rivenduto l’istallazio­ne per cinquemila».

A «Street Art, Sweet Art 10 anni dopo» lei si confronta con l’artista Emilio Isgrò e il poeta Nanni Balestrini.

«Non so disegnare. Non mi considero un writers, ho sempre cercato di usare la scrittura, le lettere maiuscole, come equivalent­e delle creazioni di colleghi e amici street artist. Con il tempo ho capito che il mio percorso di poeta-artigiano era diverso, più vicino alle sperimenta­zioni di Isgrò e di Balestrini, con loro c’è un rapporto di continuità, di filiazione».

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