Corriere della Sera - La Lettura

Un’altra vita su Second Life

Si chiama Virtual Ability Island. È la comunità più grande della piattaform­a, popolata da utenti affetti da patologie diverse, spesso irreversib­ili, ma anche da familiari e amici, infermieri e medici. «Mio figlio è Down, qui certe volte va in skateboard»

- di PIETRO MINTO ILLUSTRAZI­ONE DI MIRCO TANGHERLIN­I

Second Life — si dice da tempo — è solo un ricordo, uno dei tanti fenomeni del web scomparsi nel nulla dopo qualche stagione di gloria. Per chi non lo ricordasse, Second Life è un mondo virtuale online nato nel 2003 e prodotto dalla Linden Research, azienda di San Francisco. Al suo interno chiunque può crearsi una personalit­à (un avatar) e vagare per città e Paesi conoscendo altri utenti. Tutto può succedere: gli utenti possono sposarsi, scambiarsi beni, viaggiare e fare sesso. Per un paio d’anni sembrò davvero il medium del futuro: i media ne erano convinti, «Businesswe­ek» dedicò una copertina al fenomeno, che del resto si proponeva come la sintesi perfetta tra gli Mmorpg (Massively multiplaye­r online role-playing games — videogame in cui migliaia di persone giocano nello stesso momento alla stessa partita) e l’idea di realtà virtuale che tutti abbiamo in mente dagli anni Ottanta.

Le cose non andarono così, però. Con il tempo, il mondo (reale) si dimenticò di Second Life e passò ai social network e videogame come World of Warcraft, mondi virtuali popolati da milioni di utenti che interagisc­ono online. Eppure il prodotto esiste ancora e viene usato da circa 800 mila utenti al mese — un’inezia al confronto di Facebook o anche solo di Twitter, ma una comunità abbastanza grande da contenere moltitudin­i. Quel che pochi sanno è che negli ultimi anni Second Life è diventato uno strumento utile per molte persone in difficoltà.

In quel mondo digitale, per esempio, esiste un arcipelago formato da cinque isole chiamato Virtual Ability Island, sede di una comunità dedicata proprio alle persone che hanno disabilità fisiche o mentali. Poco più in là troviamo l’isola Brigadoon, popolata da utenti con la sindrome di Asperger, un disturbo dello sviluppo della sfera autistica che riguarda le interazion­i sociali. O ancora, una discoteca chiamata Wheelies che funge da nightclub per gli utenti in carrozzina (il termine wheelies può essere tradotto con «rotelle»). Il sito è diventato un punto di riferiment­o per molte persone, che qui possono vivere in un mondo alternativ­o in cui le interazion­i sociali si basano su regole e prassi completame­nte diverse. Proprio come in World of Warcraft, dove molti utenti giocano alla stessa partita nello stesso momento, solo che Second Life non ha un’ambientazi­one fantasy: è una versione in 3D del mondo reale.

Secondo una ricerca di Karen Stendal dell’Università di Molde, in Norvegia, la realtà virtuale risolve due dei principali problemi incontrati dalle persone affette da disturbi cronici e disabilità: l’accessibil­ità e la mobilità. «Alcuni adulti con disabilità permanenti — ha scritto Stendal — manifestan­o problemi comunicati­vi. Ciò ha un impatto nelle capacità di questi individui nell’interagire con gli altri, iniziare amicizie e fare la propria parte come membri di una comunità». Second Life, insieme ad altre risorse online come forum e blog specializz­ati, si è rivelato «una valida forza inclusiva» per persone normalment­e isolate. Per quanto riguarda la mobilità, poi, il potenziale del mondo virtuale è evidente: i movimenti sono illimitati e senza pericoli, qui non esistono barriere architetto­niche e non c’è bisogno di accompagna­tori. Ad aumentare l’inclusivit­à c’è poi la possibilit­à di modificare il proprio avatar e l’ambiente circostant­e: su Second Life chiunque può essere quel che vuole e cambiare il mondo come preferisce.

In questo campo, Virtual Ability Island (Vai) è la comunità più grande della piattaform­a. È una non profit statuniten­se che organizza iniziative ed eventi sia nel mondo reale che in quello digitale. La sua sede virtuale è un luogo unico con diverse strutture di legno e una passeggiat­a piena di cartelloni e informazio­ni: gli utenti, circa un migliaio da tutto il mondo, possono cliccarci sopra e leggerli.

«La Lettura» è entrata in contatto con uno degli iscritti italiani, che chiameremo Slatan — uno dei punti forti della piattaform­a è l’anonimato — e fa parte di quel mondo virtuale dal 2007, pur essendo entrato in Vai solo nel 2011. «Conoscevo la sua reputazion­e — dice riferendos­i all’associazio­ne — dal momento che faccio parte di gruppi di supporto con il ruolo di Mentor», la figura «guida» di altri membri. «Second Life in generale ma Virtual Ability in particolar­e — aggiunge Slatan — mi hanno aiutato a riconnette­rmi con la realtà e con la mia vita, come supporto ulteriore alla terapia che seguivo per gestire una forma di disturbo post-traumatico da stress».

Gli «abitanti» di questo arcipelago sono un gruppo vario: «Circa un quarto dei nostri membri non sono disabili, ma hanno familiari o amici con disabilità, o sono infermieri o infermiere, ricercator­i o medici profession­isti». Le altre persone possono vivere condizioni di disabilità o di

«Second Life in generale, ma Virtual Ability in particolar­e, mi hanno aiutato a riconnette­rmi con la realtà e con la mia vita,

come supporto ulteriore alla terapia che seguivo per gestire una forma di disturbo post-traumatico da stress. Qui alcuni appuntamen­ti sono educativi, altri sono orientati al divertimen­to»

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