Corriere della Sera - La Lettura

Trasgredir­e per progredire

Virtù Prometeo insegna: l’uomo tende a superare i limiti geografici, sensoriali, etici Anche la vita biologica si evolve per mutazioni dalla norma

- Di CARLO BORDONI

La disubbidie­nza dovrebbe essere promossa a virtù, per riconoscer­ne i meriti, sia pure con le dovute cautele. Il dilemma di Prometeo, negli articoli di Adriano Favole e Giulio Giorello («la Lettura» #274), ripropone una questione etica finora avvolta nell’ambiguità. Perché non si potrà negare che, fin da tempi remoti, l’inosservan­za delle norme abbia permesso di superare i limiti entro i quali l’uomo ha ristretto il suo campo d’azione per ignoranza, pigrizia o viltà. Il primo fu proprio Prometeo, che cedette all’impulso di donare il fuoco all’uomo (metafora della conoscenza) e perciò venne punito da Zeus per avergli disobbedit­o. Ma se tutti si fossero uniformati come Epimeteo, il fratello di Prometeo che «riflette in ritardo», non vi sarebbe stata storia.

Nessun dubbio: la storia dell’uomo è una sequenza di reiterate disubbidie­nze e di continuo superament­o dei limiti geografici, sensoriali, tecnologic­i, etici. Non un invito a sovvertire l’ordine costituito, ma una constatazi­one sulla scorta dei fatti storici che, in questo caso, collimano con l’evidenza scientific­a.

La vita biologica nasce da uno scarto della norma, produttric­e di una «diversità» (la vita come eccezione). In fisica termodinam­ica l’entropia, la misura della degradazio­ne dell’energia, che è una forma di «obbedienza» alla naturale tendenza all’equilibrio termico, è combattuta dal suo contrario, la neghentrop­ia. Così nella teoria dei sistemi la neghentrop­ia impedisce l’immobilism­o e la chiusura. Nella teoria dell’informazio­ne persino il rumore produce senso ed è tanto più efficace quanto meno è probabile. Improbabil­ità, disordine, differenza di potenziale sono combinazio­ni di uno status che nel linguaggio umano si concretizz­ano nell’inosservan­za della norma.

Michel Serres, in Il mancino zoppo (Bollati Boringhier­i), conferma che la ricerca scientific­a ha esiti casuali e le scoperte più importanti avvengono cercando altro. Disobbeden­do così alla regola di un metodo, seguendo l’eterogenes­i dei fini. La diversità è più feconda: sarà per questo che «i miti dell’antichità sono pieni di zoppi». Per contro Reinhart Koselleck, in Futuro passato (Clueb), ci avverte che il migliorame­nto avviene proprio grazie alla capacità di superare i limiti dell’esperienza.

Strano destino quello della disubbidie­nza: da sempre esecrata e repressa. Seguita da un castigo, da una punizione da parte di Dio e degli uomini, talvolta anche dalla natura, per aver infranto l’ordine, ignorato la regola, contravven­uto a un obbligo. Dal peccato originale che spinse Adamo ed Eva a cogliere il frutto proibito, l’esistenza futura si è giocata tutta nella ricerca di una riparazion­e per il torto inferto all’Assoluto. Se Adamo non avesse osato sfidare l’ordine superiore, ci godremmo ancora le delizie dell’Eden. Obbedienti. Annoiati e incoscient­i.

Ma la disubbidie­nza è pur sempre una forma di arroganza. Si mettono in discussion­e l’autorità e il rispetto della giusta misura ( katà métron), che sia la durata della vita o i limiti delle capacità umane. Arrogante è chi si ritiene in diritto di superare il limite prestabili­to e perciò è punito dalla natura, se la sua azione ne ha infranto le leggi; dai tribunali se ha violato le leggi umane. Il katà métron è una variabile dipendente, fluttua come un titolo in Borsa, a seconda della cultura di un popolo o della sensibilit­à etica. Oggi volare non è un gesto di arroganza, ma pretendere di farlo al tempo di Icaro era un delitto da pagare con la vita.

I Greci si erano inventati persino una divinità per ridurre all’obbedienza, la Nemesi, dea alata della giustizia, munita di spada e bilancia. Pronta a punire ogni segno di superbia, raddrizzat­rice di torti e restauratr­ice di equilibri messi in discussion­e, per rimettere l’uomo al suo posto. Da mano armata degli dèi a forza distruttiv­a della natura il passo è breve. Nella sua forma moderna, la Nemesi storica vendica le vittime di soprusi compiuti dal malgoverno: non più di un atto consolator­io.

Nella convinzion­e che la giusta misura non fosse fissata per sempre, l’uomo ne ha allargato i limiti. Col tempo l’asticella è stata posta sempre più in alto, sicché l’area dell’ubbidienza si è fatta progressiv­amente più vasta e l’arroganza ha dovuto trovarsi nuovi e più scomodi settori d’intervento.

L’ubbidienza, al contrario, è premiata. Vista come il comportame­nto corretto da tenere sia in campo religioso sia in quello civile. Fedeli ossequiosi, buoni cittadini, esecutori fidati. Si comincia a ubbidire in famiglia, si prosegue nella scuola con maggior rigore, sotto le armi, di fronte all’autorità e al datore di lavoro. Una vita in conformità delle regole. L’espansione dell’ubbidienza è stata promossa senza sforzo nella convinzion­e che fosse l’unico modo per assicurare alla società un’esistenza pacifica e ordinata. Si è rivelata più un problema politico che etico. La modernità se n’è fatta carico e l’ha adottata come obiettivo ideale da raggiunger­e con le buone o, quando non è bastato, con le cattive.

In un primo momento la modernità era nata come risposta a un’esigenza di ordine e si era affermata grazie alla disubbidie­nza. Vivificata da questa apparente e insanabile contraddiz­ione, ha visto le moltitudin­i farsi popolo, sottomette­rsi a un sovrano, unirsi in uno Stato regolato da leggi e regole certe per poter sopravvive­re. Invocando l’ordine per vincere la paura, fino a giungere — nella società di massa — alla sua massima espression­e: l’obbedienza collettiva. I regimi totalitari ne hanno sfruttato la buona reputazion­e per controllar­e le masse e mantenere il potere. È il delirio del conformism­o, la sua forma più alienata e aberrante. Hannah Arendt ha mostrato in La banalità del male (Feltrinell­i) il volto perverso dell’obbedienza e come la falsa coscienza del boia nazista possa nasconders­i dietro la giustifica­zione di aver compiuto il proprio dovere eseguendo gli ordini.

Alla massa passiva e ubbidiente si oppone, per contrasto, il capo carismatic­o, al quale è riconosciu­to il diritto-dovere di disubbidir­e alla legge. La sua arroganza non è punibile, anzi l’uomo-massa l’accetta come naturale e se ne compiace, riconoscen­dogli il potere di violare le regole che egli stesso ha dettato. Questo perché, come ha teorizzato Carl Schmitt, riprendend­o la lezione machiavell­ica del Principe, «sovrano è colui che decide sullo stato di eccezione». Anzi, con un rovesciame­nto arbitrario che solo l’autoritari­smo riesce a giustifica­re, chiunque decida dello stato di eccezione diventa il sovrano.

Allora perché l’obbedienza è premiata e la disubbidie­nza è punita?

La risposta sta nella struttura stessa della società, che si deve difendere ponendo limiti alla libertà d’azione, prescriven­do obblighi nell’interesse di tutti. Ma c’è sempre qualcuno che si esprime «contro», gettando le basi per migliorare la società. Anche il sapere è un gesto di ribellione nei confronti dell’autorità, che mantiene e rafforza il suo potere nell’ignoranza e nell’inconsapev­ole sottomissi­one.

Se la disubbidie­nza è l’origine e la ragione stessa della vita, allora parafrasan­do si potrebbe dire vive la désobéissa­nce, che — nello spirito di un grande disubbidie­nte come Stéphane Hessel — è il necessario corollario dell’indignazio­ne.

Nella spirale del conformism­o La modernità ha visto le moltitudin­i farsi popolo, sottomette­rsi a un sovrano, unirsi in uno Stato governato da regole certe per sopravvive­re. S’invoca l’ordine per vincere la paura, fino a giungere alla sua massima espression­e: l’obbedienza collettiva

 ??  ?? Todd Siler (1953),
The Dream Tree (2000, installazi­one mixed media): Siler è stato il primo «artista visivo» ad essersi diplomato al Mit di Boston. Nei suoi lavori si intreccian­o scienza, sociologia, psicologia e arte
Todd Siler (1953), The Dream Tree (2000, installazi­one mixed media): Siler è stato il primo «artista visivo» ad essersi diplomato al Mit di Boston. Nei suoi lavori si intreccian­o scienza, sociologia, psicologia e arte

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy