Corriere della Sera - La Lettura

Luce Di Notte a Napoli di nome e di fatto

- Di CARLO BARONI

Lorenzo Marone guarda il mondo con gli occhi di un’avvocatess­a che ha battezzato in modo evocativo

Doveva capirlo già dal nome: uno che si chiama Arminio Ge r o n i mo ce l’ h a sc r i t t o dentro che ti vuole combattere. E magari pure distrugger­e. Poi lui, rispetto agli originali, non è neanche idealista e valoroso. Insomma, si è preso solo il peggio dei due guerrieri. Ma questo è un altro discorso. Geronimo è il suo capo, anzi il suo dominus come si dice negli studi legali. Già perché lei è un avvocato. Dovrebbe esserlo, almeno. I titoli li avrebbe, li ha. Centodieci (senza lode) in Giurisprud­enza e la voglia di diventare come Ally McBeal, magari un po’ sfigata in amore, ma appena mette piede in tribunale un turbine che vince tutte le cause.

Peccato che Luce Di Notte (si chiama proprio così, non è la figlia di un capo dei Sioux) in aula ci vada poco o niente. Il suo compito è portare adempiment­i da una cancelleri­a all’altra: un’eterna praticante. Lei è la protagonis­ta di Magari domani resto di Lorenzo Marone. Scrittore con passato da avvocato e quindi sa di cosa parla. Questa volta prova a guardare il mondo con gli occhi di una donna e l’effetto è niente male. Non che quello che vede sia uno splendore. I Quartieri Spagnoli a Napoli. Con tutti gli stereotipi, i tic da cartolina illustrata che a lisciarla ti accorgi che è davvero così. E allora ti viene voglia di rassegnart­i o arrangiart­i. A meno che non cresci in una famiglia così sgarrupata che vuoi darci un taglio. Un padre simpatico ma assente. Nel senso che non c’è proprio. Ti ha accompagna­to a scuola e poi come il marito che scende a prendere le sigarette e dice alla moglie «torno subito» non si è fatto più vedere. Poi vengono a sapere che l’hanno ucciso in Venezuela, chissà come e chissà perché. Ma in questi casi, meglio non indagare.

La mamma è di quelle toste. Rigida e inflessibi­le. Che queste cose ti restano dentro e ti servono anche. Ma anche bigotta e anaffettiv­a. E anche questo ti resta addosso. C’è anche il fratello più piccolo. Che rimane così anche dopo i trenta e un figlio che si chiama Arturo.

Ma esiste sulla faccia della terra una famiglia perfetta? Luce se la mette insieme una alternativ­a, come in un puzzle involontar­io. E nel quadretto ci finisce un cane trovato per strada che chiama Alleria. Senza un pedigree riconosciu­to ma si capisce subito che nelle sue vene circola un sangue speciale. Poi ci sono il vecchio e il bambino. Il primo è don Vittorio, un signore sulla settantina costretto a stare in carrozzina. Uno di quei filosofi che ci circondano e di cui ci accorgiamo per caso. Il suo vicino di casa che diventa nonno, papà, fratello.

Il bimbo è Kevin. Anche lui nome strano, magari i suoi pensavano a Costner, a Keegan no, troppo datato nel tempo. Ecco lui è un bimbo speciale. Sembra uscito da Oxford, invece abita nella casa accanto. Con una madre, Carmen, che sembra avere appena svaligiato una bigiotteri­a. Carmen è la sua «causa». Nel senso che Luce deve pedinarla, meglio spiarla, per toglierle il figlio che l’ex marito, un camorrista, rivuole indietro come fosse un pacco. Poi ci sono i colleghi dello studio, il belloccio, il depresso e la segretaria perennemen­te innamorata del primo che manco se la fila. Luce il suo amore forse lo trova. Lungo la strada, come Alleria. E davanti, dietro, intorno: insomma dappertutt­o c’è Napoli. E lo spettacolo è questo.

 ??  ?? Filippo Sciascia (Palma di Montechiar­o, Agrigento, 1972), Primitivo minimale (2015, conchiglia, oggetto di recupero), courtesy dell’artista
Filippo Sciascia (Palma di Montechiar­o, Agrigento, 1972), Primitivo minimale (2015, conchiglia, oggetto di recupero), courtesy dell’artista

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