Corriere della Sera - La Lettura

Il mio digiuno è il tuo digiuno. Ma poi?

- Di MATTEO GIANCOTTI

Alla sua terza prova Francesca Scotti racconta il legame fra due liceali quindicenn­i alleate nel resistere alle cure contro l’anoressia. Uno stile di scrittura che giustifica il titolo del romanzo: «Ellissi»

Tre libri notevoli, pubblicati in sei anni, dal 2011 a oggi, hanno fatto emergere nel tempo il prof i l o ben def i ni to di una nuova narratrice. Francesca Scotti (Milano, 1981), ha esordito con una raccolta di racconti, Qualcosa di simile (Italic Pequod), che metteva in luce una scrittura singolare, apparentem­ente rétro, evocativa e ipersensib­ile, caratteris­tiche alle quali, nel romanzo Il cuore inesperto (Elliot, 2015), si sono aggiunti un respiro più ampio e interessan­ti capacità costruttiv­e. Il nuovo romanzo Ellissi, pubblicato da Bompiani, sembra tirare le fila delle esperienze precedenti e definire compiutame­nte una voce, che potrà essere forse sottovalut­ata perché troppo tenue, ma che a un ascolto attento non dovrebbe nascondere la sua raffinatez­za.

In Ellissi Francesca Scotti affronta un tema che negli altri suoi libri affiorava con discrezion­e e insistenza al tempo stesso, sì che ne restava al lettore l’impression­e di un’aura più che il ricordo di sensazioni ed episodi messi a fuoco; l’aura che hanno le cose determinan­ti di un’esistenza, talvolta troppo importanti o traumatich­e per essere dette fino in fondo. Ecco che infine, in Ellissi, questo lungo bordeggiar­e ha termine: l’evitamento lascia il campo alla «cosa», cioè al cibo e ai comportame­nti correlati; nel caso specifico, all’anoressia.

Sia in Qualcosa di simile che nel Cuore inesperto il cibo, rappresent­ato nella sua alterità di oggetto, quasi mai come nutrimento, lasciava sulla pagina le tracce di una presenza perturbant­e: poteva attirare talvolta l’interesse dei personaggi con il suo colore e un momento dopo disgustarl­i per la consistenz­a o per il sapore; mai, in ogni caso, rivelarsi elemento innocuo o neutro. Dunque si può dire che il tema di Ellissi è maturato lentamente, crescendo nel tempo. Anche se, come vedremo, affrontare un tema non significa necessaria­mente collocarlo al centro del discorso; anzi.

Erica e Vanessa, le protagonis­te di Ellissi, sono liceali quindicenn­i. Hanno deciso di opporsi al mondo che conoscono, rifiutando­ne in primo luogo la pesantezza e decidendo, conseguent­emente, di diventare non tanto magre ma «leggere, invisibili», come libellule, esseri nati dall’acqua e destinati all’evanescenz­a. Sono sicure e determinat­e nella loro scelta quando varcano i cancelli di Villa Flora, una clinica per la cura dei di- sturbi alimentari immersa in un parco sul lago: loro non guariranno.

Nei primi tempi della permanenza in clinica, impariamo a conoscere la forma della loro alleanza morale e biologica: non mangiano perché si nutrono l’una dell’altra, sono un organismo solo, che, per dimostrare la sua forza, applica una disciplina delirante. Delle due, Erica è la più dura, la più inflessibi­le; ha bisogno di Vanessa, ma è Vanessa, che è più fragi- le e docile, a dipendere da lei. Forti, all’inizio, della loro simbiosi, le due ragazze oppongono alla terapia una forma di resistenza che sembra ottundimen­to ma in realtà è strenua coerenza ideologica. Nel frattempo si definiscon­o le forme del luogo che le ospita: emergono il parco folto di vegetazion­e; il lago che è come un essere vivente indefinito e misterioso; «i corridoi dei sogni, dei languori»; le stanze fatte di tedio; la sala comune per la «terapia», cioè per i pasti, dove il cibo talvolta viene gettato a terra, finendo per risaltare, sul pavimento, nella sua oscena esteriorit­à di cosa. Rumori attenuati, sospiri, gocce che cadono. Un’atmosfera da sanatorio neocrepusc­olare, scossa di tanto in tanto dal sapore aspro del sesso.

Le percezioni suggerite da questa scrittura sono così acute da sembrare alterate, ingigantis­cono i dettagli, amplifican­o i rumori più impercetti­bili, rendendoli stridenti, attirano l’attenzione su un odore che improvvisa­mente si prende il centro della pagina. Per tre quarti del libro il tono resta cupo, e il finale sembra inevitabil­e. Poi improvvisa­mente qualcosa nella coppia cede, la frattura in quella granitica compattezz­a diventa apertura all’esterno, e le pagine cambiano umore, finché il percorso si inverte: se è insieme che si sono dannate, forse riemergend­o come individui Erica e Vanessa potranno salvarsi.

Al lettore però non è concesso di assistere alla nuova alleanza tra le protagonis­te e il cibo: questo momento è coperto dal velo — appunto — di un’«ellissi», di un’omissione. Ellittica è la sequenza della svolta, come, forse per conseguenz­a di una poetica, sono ellittici, sospesi, talvolta deboli, nella loro assurdità adolescenz­iale, i dialoghi, qui più presenti che negli altri libri di Francesca Scotti.

Il limite di tenuta di questa scrittura è nel confine, più volte sfiorato in Ellissi, tra leggerezza e evanescenz­a, mentre la sua forza rimane nella capacità descrittiv­a penetrante, nel fiuto finissimo dell’organico di cui è fatta la vita, nell’udito attento a scovare in una manciata di suoni il senso di una storia.

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