Corriere della Sera - La Lettura
Vivere insieme I giusti azzardi dell’ugonotto de l’Hospital
«Non importa quale sia la vera religione, ma come si possa vivere insieme». Con questa formula, nel 1560, Michel de l’Hospital indica la via d’uscita dalle guerre di religione. Dopo la rottura di Lutero l’Europa è in fiamme. Enrico VIII ha spezzato il legame con il Papa e si è fatto la sua Chiesa; il Concilio di Trento sta per concludersi con la riaffermazione di dogmi che dividono il continente in due. Michel de l’Hospital vive il dramma in prima persona: è un ugonotto, un protestante francese, ma si finge cattolico. Evita, così facendo, di lasciarci la pelle; soprattutto, può esercitare la propria influenza su una corona cattolica impegnata a difendere la propria indipendenza temporale dall’ingerenza romana. Con la sua formula lo scrittore e statista prova a cambiare gioco. Se l’affermazione politica e teologica della vera religione è l’ossessione del tempo, per Michel de l’Hospital essa invece non deve «importare». Ciò che «importa» è vivere insieme.
Cinque secoli dopo, in questo 2017 in cui si commemora l’affissione delle tesi di Lutero, quella formula è non meno significativa, non meno urgente. Ancora sperimentiamo intolleranza e violenza in nome di confliggenti verità su Dio. Ancora ci chiediamo come possano «vivere insieme» individui e comunità la cui fede è quella vera. Il ridimensionamento della fede nella vita moderna non ha reso il dilemma meno decisivo, meno drammatico. Resesi più confutabili e più fragili le fedi, si è anzi fatta più dura la competizione interna alle verità religiose e tra le verità religiose e le verità della scienza e della tecnica, del mercato e della finanza.
A fronte delle nuove guerre di religione, l’invito di Michel de l’Hospital a concentrarci sulle esigenze del «vivere insieme» resta salutare. A due condizioni. La prima è che la risposta al bisogno di coabitazione pacifica sappia unire persone e comunità di culture diverse; esercizio difficilissimo, ma indispensabile e possibile, come dimostrano tanti esempi di ottimo lavoro interculturale nell’educazione, nella cooperazione, nella sanità, nell’impresa. La seconda condizione è che non si trascuri l’esperienza di fede e non si mortifichi l’aspirazione a una verità trascendente. Se infatti le culture interagiscono le une con le altre, se esse si sfidano, si ibridano, si rinnovano, è perché le persone e i gruppi vivono la fede, comprendono il divino, cercano e testimoniano una verità superiore. «Non importa quale sia la vera religione» perché «si possa vivere insieme»: diceva bene Michel de l’Hospital; e tuttavia importa, e tanto, come i credenti vivono la loro verità.