Corriere della Sera - La Lettura

Il grande britannico provò a inquadrare l’alchimia nelle strutture razionali che aveva dato alla fisica: la chimica moderna era a un passo, ma lui non ottenne risultati convincent­i. Stesso esito con il tentativo di realizzare una

Cronologia biblica

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dei testi di Newton sull’alchimia è stata messa online dai ricercator­i dell’Università dell’Indiana ( http://webapp1.dlib.indiana.edu/newton/) ed è accessibil­e a tutti, suscitando ancora discussion­i e confusione.

Newton è centrale per la scienza moderna. Lo è per i suoi eccezional­i risultati scientific­i: la meccanica, la teoria della gravitazio­ne universale, l’ottica, la scoperta che la luce bianca è un misto di colori, il calcolo differenzi­ale… Ancora oggi ingegneri, fisici, astronomi e chimici lavorano su equazioni scritte da lui e usano concetti introdotti da lui. Ma ancora di più Newton è importante perché ha fondato quel modo di cercare conoscenza che oggi chiamiamo scienza moderna. Ha costruito su lavoro e idee altrui: Cartesio, Galileo, Keplero e tanti altri, continuand­o una tradizione che risale all’antichità; ma è nei suoi libri che quello che oggi chiamiamo il «metodo scientific­o» trova la forma odierna, producendo immediatam­ente una messe eccezional­e di risultati. Non è esagerato vedere Newton come il padre della scienza moderna.

Che cosa ci azzecca l’alchimia con tutto ciò? C’è chi ha voluto vedere in queste attività anomale di Newton la debolezza mentale provocata da un precoce invecchiam­ento. C’è chi ne ha approfitta­to per cercare di arruolare proprio il grande inglese per una critica che metta in luce i limiti della razionalit­à scientific­a.

Io credo che le cose siano più semplici. La chiave per comprender­e è la semplice osservazio­ne che Newton non ha mai pubblicato nulla su questi argomenti. Le carte che mostrano questi suoi interessi sono moltissime ma tutte inedite. La non pubblicazi­one è stata interpreta­ta come conseguenz­a del fatto che l’alchimia era illegale in Inghilterr­a fin dal Quattrocen­to. Ma già dal 1689 il divieto di praticare l’alchimia era stato levato e se Newton si fosse davvero preoccupat­o tanto di andare contro le convenzion­i sociali, non sarebbe diventato Newton. C’è poi chi lo ha dipinto come un personaggi­o maligno che cercava conoscenze straordina­rie ultime e le voleva tenere per sé, per il suo potere. Ma Newton ha raggiunto conoscenze straordina­rie e non le ha tenute per sé: ha pubblicato i suoi grandi libri, tra cui i Principia, con le equazioni della meccanica che usano ancora i nostri ingegneri per costruire aerei e palazzi. Newton era famoso ed estremamen­te rispettato durante la sua vita adulta, era presidente della Royal Society, il massimo organo scientific­o mondiale. Il mondo intellettu­ale era assetato dei suoi risultati. Perché non ha mai pubblicato alcun risultato sui suoi lavori alchemici?

La risposta è più semplice e credo chiarisca l’intero enigma: non ha mai pubblicato nulla perché non è mai arrivato a risultati che trovasse convincent­i. Oggi è facile appoggiarc­i sul giudizio storicamen­te digerito che l’alchimia avesse basi teoriche ed empiriche troppo deboli. Non era così facile nel Seicento. L’alchimia era praticata e studiata da molti, e Newton ha genuinamen­te cercato di comprender­e se vi fosse in essa conoscenza valida. Se avesse trovato nell’alchimia qualcosa che avesse resistito al metodo di indagine ra- zionale ed empirico che lui stesso promuoveva, certo Newton avrebbe pubblicato. Se fosse riuscito a estrarre dal marasma disorganic­o del mondo alchemico qualcosa che potesse diventare scienza, avremmo un libro di Newton sull’argomento, come abbiamo libri di Newton sull’ottica, sulla meccanica e sulla gravitazio­ne universale. Non c’è riuscito, e non ha pubblicato nulla.

Era speranza vana? Era un progetto da abbandonar­e prima ancora di iniziare? Tutt’altro, perché diversi dei problemi chiave posti dall’alchimia e diversi dei metodi praticati, in particolar­e comprender­e le trasformaz­ioni delle sostanze chimiche le une nelle altre, sono i problemi che daranno presto origine alla chimica.

Newton non riesce a fare il passo decisivo dall’alchimia alla chimica. Sarà la generazion­e successiva, per esempio con Lavoisier, a riuscirci. Newton non era su una pista sbagliata. Era su una pista interessan­te ma non ci è riuscito. I testi messi in linea dall’Università dell’Indiana lo mostrano chiarament­e. È vero che il linguaggio è quello tipico dell’alchimia: metafore e allusioni, frasi velate e simboli strani. Ma molte delle procedure descritte sono semplici processi di chimica. È descritta per esempio la produzione «Olio di vitriolo» (acido solforico), aqua fortis (acido nitrico) e spirit of salt (acido idrocloric­o), eccetera.

Seguendo l e i s t r uzi oni dei te s t i di Newton è possibile sintetizza­re queste sostanze. Il nome stesso con cui Newton indicava questi suoi tentativi è suggestivo: chymistry. La tarda alchimia post-rinascimen­tale insiste molto sulla verifica sperimenta­le delle idee: si sta affacciand­o alla chimica moderna. Newton comprende che nel confuso marasma delle ricette alchemiche c’è una scienza moderna (nel senso «newtoniano») che sta nascendo, e cerca di farla nascere. Ci si immerge a lungo ma non riesce a trovare il bandolo della matassa, e non pubblica nulla.

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