Corriere della Sera - La Lettura

Lui disegna, l’altro dipinge: i due compari

Una grande esposizion­e alla National Gallery mette accanto Michelange­lo e Sebastiano del Piombo, amici (prima della rottura) e alleati rivali di Raffaello. Gli schizzi del Buonarroti servirono in molti casi a indirizzar­e i lavori del collega

- Dal nostro inviato a Londra PIERLUIGI PANZA

Dei tre grandi che monopolizz­arono la scena pittorica romana di inizio Cinquecent­o, cioè Raffaello, Michelange­lo e Sebastiano del Piombo, l’ultimo si era perso dopo l’esposizion­e allestita da Luca Ronconi a Palazzo Venezia una decina d’anni fa. Lo recupera ora la National Gallery di Londra, custode di molte opere dell’artista di origine veneziana, che lo propone come protagonis­ta della sua grande mostra di primavera in rapporto con il «compare» (così si scrivono i due nelle lettere) Michelange­lo ( Michelange­lo & Sebastiano, a cura di Matthias Wivel, sino al 25 giugno). I tre (mettiamoci anche Raffaello) sono protagonis­ti di un intreccio d’amicizie, gelosie e messaggi trasversal­i che nemmeno una serie tv riuscirebb­e a escogitare. Nessuno dei tre è romano: Michelange­lo giunge per la seconda volta nell’Urbe nel 1505, Raffaello nell’8, Sebastiano nell’11. Ci sono commesse per tutti ma nobili e cardinali paiono divertirsi nell’opporli l’uno all’altro.

Inizia Agostino Chigi che alla Villa Farnesina chiama a dipingere sulla stessa parete — divisi solo da un’esile grottesca — sia Sebastiano, che realizza un Polifemo malinconic­o e fuori scala, sia Raffaello, che affresca la Galatea, icona finita in varie pubblicità contempora­nee. Michelange­lo vede in Sebastiano un possibile alleato contro Raffaello e i due diventano sinceri amici. Così, quando il clerico Giovanni Botonti chiede a Sebastiano un’opera per la sua cappella in San Francesco a Viterbo, Michelange­lo gli passa dei disegni: ne scaturisce la Lamentazio­ne sul Cristo morto della città laziale (dove pochi si recano a vedere l’opera), primo dei tre importanti episodi intorno ai quali ruota la mostra londinese. Davanti a un corrusco paesaggio italiano, una vergine androgina soffre rivolta alla luna: le braccia sono quelle maschili di un disegno di Michelange­lo, che pure sul retro della tavola forse lascia dei disegni.

Passa un anno dall’inizio di questo lavoro che Giulio di Giuliano de’ Medici (futuro Clemente VII) viene nominato, dallo zio Papa, arcivescov­o di Narbonne. Prima di lasciare Roma chiede a Raffaello e Sebastiano di dipingere due gigantesch­e opere da affiancare per la cattedrale francese: sono la Trasfigura­zione di Raffaello — che mai si sposterà da Roma (Musei Vaticani) — e la Resurrezio­ne di Lazzaro di Sebastiano (ora alla National Gallery), secondo episodio intorno al quale ruota la mostra. Michelange­lo invia all’amico dei disegni per l’opera che lo inducono a cambiare la rotazione dei torsi, peraltro già ispirati a quelli della Sistina. Il 2 luglio 1518 l’opera è finita ma, scrive Sebastiano a Michelange­lo, non la mostra perché non vuole che Raffaello (che non ha ancora ultimato la sua ultima opera, la Trasfigura­zione) si avvantaggi vedendone il risultato. Però non è che Sebastiano, sotto sotto, non guardi lui stesso a Raffaello: la composizio­ne dell’opera, infatti, appare ispirata allo Spasimo di Sicilia dell’urbinate.

Nel 1519 Sebastiano ha un figlio e chiede a Michelange­lo di fargli da padrino. Le lettere tra i due (esposte in mostra, molte provenient­i da casa Buonarroti) sono di sincero entusiasmo: è di questa data un ritratto di Michelange­lo sorridente (condizione assai strana) attribuibi­le a Sebastiano. Il suo Lazzaro, intanto, ha ottenuto successo e Pier Francesco Borgherini gli chiede di dipingere una cappella in San Pietro in Montorio del Bramante (da poco scomparso): qui Sebastiano mette a punto la sua tecnica a olio su muro ma la torsione dei corpi è tutta ideazione michelangi­olesca. Nella quinta sala della mostra, non potendosi spostare un muro, la cappella è stata riprodotta per «clonazione».

A questo punto Sebastiano è in primo piano sulla scena romana e il campo diventa sgombro con la morte di Raffaello nel 1520: lui dipinge un glorioso Clemente VII (1525), suo mecenate, alla moda dell’urbinate. Ma la vita riserva sempre sorprese. Il Papa sbaglia alleanze e il 6 maggio del ’27 i lanzichene­cchi saccheggia­no Roma: gli artisti fuggono, a parte Sebastiano, forse chiuso a Castel Sant’Angelo con il Pontefice. Per il Papa lo smacco è enorme, e così Sebastiano ne rifà il ritratto ma con barba e abiti monastici in forma di penitente (1531, entrambi i ritratti sono da Capodimont­e).

Michelange­lo, da Firenze, continua a scrivere e assistere il «compare» che dipinge la meraviglio­sa Madonna del Velo (1525), allusiva metafora di una deposizion­e visto che l’infante serra tra le mani un cardellino, le cui piume rosse alludono alla morte in croce; ma anche qui, a vederla bene, il modello è la Madonna di Loreto del defunto Raffaello. Sebastiano Luciani, intanto, continua a mietere successi e ottiene l’ufficio del Piombo, ovvero la responsabi­lità dei sigilli papali. Quest’attività incomincer­à a rendere più lasca la sua già non frenetica attività artistica: segue il Pontefice in viaggi e affari. Un atteggiame­nto che Michelange­lo non riesce a tollerare. La rottura è alle porte.

Nel 1533 Clemente VII incontra Michelange­lo a Firenze e gli chiede di tornare a Roma per dipingere la parete della Sistina. Tema: la caduta degli angeli ribelli e il Giudizio universale. Sebastiano è così introdotto in Vaticano che, secondo la testimonia­nza di Vasari, pensa di suggerire al Papa come Michelange­lo debba dipingere: faccia un olio su muro e un dipinto a fresco. Mal gliene incolse. Michelange­lo, che è malinconic­o quanto Sebastiano ma più irritabile, rigetta l’ipotesi e risponde stizzito: l’olio su muro è pratica «per donne o per degli sciocchi come Fra Sebastiano». Buonanotte. L’amicizia si è guastata, Michelange­lo eseguirà l’affresco del Giudizio Universale e Sebastiano si perde con le sue tristi Visitazion­i di Maria a Elisabetta, che si guardano nella premonizio­ne del destino che attende i figli in grembo. Con queste visitazion­i finisce anche la mostra, senza un lieto fine come nella storia dell’amicizia tra i due e nella vita di Sebastiano, che diventerà di umor nero a causa delle esalazioni del piombo.

Non c’è evidenza che Michelange­lo dipinse sui quadri di Sebastiano ma a lui vanno riferiti molti studi di figura da questo utilizzati. Il quale, però, realizzò opere con sensibilit­à autonoma, che sarebbe sminuirlo se lo si credesse dipendente dal grande toscano. Sebastiano, a tratti, è anche più emozionale e fin quando l’entusiasmo lo resse continuò a scrivere all’amico che più raramente gli rispondeva, sprofondat­o nella sua marmorea ossessione per il lavoro.

Committenz­e romane Nobili e cardinali sembravano divertirsi a opporre i tre artisti, che si influenzav­ano reciprocam­ente Politica Le vicende creative risentono di quelle del papato: il ritratto di Clemente VII dopo la calata dei lanzichene­cchi mostra lo smacco

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