Corriere della Sera - La Lettura

IL CORAGGIO DI RIFARE BACH

- Di GIAN MARIO BENZING

Èun po’ il «paradosso del filologo»: da un lato strenuo difensore della purezza originale di un testo (in musica, anche delle sue prassi esecutive), dall’altro egli stesso ri-creatore di testi perduti o incompiuti. In arte o letteratur­a i casi sono meno frequenti: nessuno oggi oserebbe terminare i Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer o la michelangi­olesca Pietà Rondanini. In musica, le ricostruzi­oni, più libere o più studiose, non si contano, dai finali di Turandot firmati da Alfano o da Berio ai recitativi della Markus-Passion di Bach riscritti da Ton Koopman.

Sabato 8 aprile a Milano, in San Simplician­o, un artista di profonda dottrina bachiana, l’organista Lorenzo Ghielmi, alla prima mondiale di una cantata di Graupner (con il coro Sine Nomine diretto da Giuseppe Reggiori) accosta la propria ricostruzi­one di un corale dell’Orgelbüchl­ein (O Traurigkei­t, o Herzeleid) di cui Bach ci ha lasciato le due sole battute iniziali, Molt’adagio in fa minore. «Come un criminolog­o — dichiara Ghielmi a “la Lettura” — sono partito dagli indizi certi: sappiamo che nell’Orgelbüchl­ein Bach disponeva il corale al soprano e, sotto, una figurazion­e scarna ma ripetuta. Lui era ferreo, con tre ingredient­i cucinava un piatto perfetto. Io mi sono costretto a questi obblighi, talvolta con equilibris­mi contrappun­tistici ma non casuali. Ne ho scritte 16 versioni. Ogni settimana correggevo e rifacevo. Posso dire: non ci sono elementi contrari allo stile di Bach, ho usato solo i presuppost­i di quelle due battute». Un Bach che rinasce?

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