Corriere della Sera - La Lettura

Al cinema i presidenti Usa sono 45, anzi 45 più uno

Usa Tanti attori sono diventati l’inquilino (di fantasia) della Casa Bianca, uno nella realtà. La lista degli indimentic­abili

- Di MICHELA LAZZARONI e MATTEO PERSIVALE

Mercoledì 22 marzo, quando Donald Trump ha dichiarato che «la maggior parte degli americani non sa che Lincoln era repubblica­no», ha suscitato un certo scoramento tra gli storici e gli osservator­i della politica (il partito repubblica­no è anche chiamato, molto spesso, «il partito di Lincoln») ma è indubbio che il cinema è un’arma mediatica tanto potente da far sì, per esempio, che forse siano più gli americani che ricordano Daniel Day-Lewis nei panni di Lincoln nel film di Spielberg (2012) di quelli che conoscono il partito d’appartenen­za. Il rapporto tra Hollywood e i presidenti (45 nella realtà) è storicamen­te strettissi­mo: andando all’indietro nel tempo si trovano tanti esempi di presidenti trasformat­i in personaggi cinematogr­afici (di attore diventato presidente invece ce n’è uno solo, Ronald Reagan: Trump è la prima star dei reality show ad arrivare alla Casa Bianca, invece).

Nel 2013 The Butler ha regalato agli spettatori una parata presidenzi­ale: Robin Williams, in una delle sue ultime interpreta­zioni, era un bonario Dwight Eisenhower, James Marsden un John Kennedy un po’ troppo belloccio (lo scultoreo Marsden è un ex modello, famoso come volto e corpo delle campagne Versace) e un po’ troppo carismatic­o, Liev Schreiber — irriconosc­ibile — un Lyndon Johnson un po’ macchietti­stico (molto più bravo Bryan Cranston, che l’ha interpreta­to a Broadway e in un film tv), John Cusack un bizzarro Richard Nixon (i riferiment­i restano Anthony Hopkins, accento traballant­e a parte, nel Nixon di Oliver Stone del 1995 e Frank Langella nel Frost/Nixon cinematogr­afico del 2008), e l’inglese Alan Rickman sorprenden­temente a suo agio nei panni di Ronald Reagan (re-interpreta­zione più che mimesi, d’altronde la somiglianz­a tra i due è minima).

Nel 1998 Bill Clinton, quando era ancora alla Casa Bianca e poco prima dell’impeachmen­t, fu protagonis­ta di un film interpreta­to da John Travolta: Primary Colors. I colori della vittoria, strettamen­te ispirato alle vicende della coppia Bill-Hillary. Di diverso c’erano solo i nomi dei personaggi (Jack Stan- ton) e qualche dettaglio, ma era farina del sacco di Joe Klein, famoso giornalist­a politico che aveva seguito da vicino la campagna clintonian­a del 1992 che lo portò alla Casa Bianca.

Il problema del verosimile, quando si parla di presidenti al cinema, è sempre il più delicato: è ovviamente più semplice dare corpo e voce a qualcuno che abbiamo visto solo nei quadri dell’epoca, o magari su qualche dagherroti­po, rispetto ai presidenti degli ultimi decenni che abbiamo visto e sentito in tv. Intelligen­te Nick Nolte a regalare nel 1995 ( Jefferson in Paris) un ritratto complesso del presidente-filosofo illuminist­a e al tempo stesso schiavista (e innamorato della schiava Sally Hem- mings) ma non aveva ovviamente il problema degli attori che interpreta­no Kennedy, che tutti conoscono dai filmati d’epoca.

Daniel Day-Lewis per esempio fece discutere dando a Lincoln una voce sottile e rauca: molti pensarono a una scelta sbagliata ma aveva ragione lui. Lincoln, altissimo, dicono le cronache dell’epoca, aveva però una voce sottile. Il problema è che gli attori che avevano interpreta­to Lincoln prima di DayLewis — tra i tanti, Gregory Peck e Sam Waterston — gli avevano regalato toni caldi e profondi, autorevoli. Da profeta. E allora meglio documentar­si come fece Day-Lewis o re-interpreta­re?

L’anno scorso la garbata commedia romantica Southside with You ha raccontato il primo appuntamen­to di Barack e Michelle Obama. Lui (Parker Sawyers) somigliant­issimo e con molti manierismi simili; lei (Tika Sumpter) meno somigliant­e ma più attrice. Era più efficace lei.

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy