Corriere della Sera - La Lettura

Louatah e i suoi «Selvaggi»: la Francia sta per esplodere

Sabri Louatah: mi hanno segnato le rivolte nelle banlieue Niente memorie intime, per scrivere bisogna esagerare

- Di STEFANO MONTEFIORI

L’intervista Esce in Italia il primo volume della saga «I selvaggi» che nel 2012 anticipava «Sottomissi­one» di Houellebec­q immaginand­o a Parigi un presidente musulmano. Parla il suo autore Nazioni «Vivo a Chicago, adoro l’America: sono partito perché non vedevo un grande futuro per il Paese dove sono nato»

Cinque maggio 2012. Al secondo turno dell’elezione presidenzi­ale Nicolas Sarkozy affronta il candidato socialista Idder Chaouch, musulmano e favorito, una specie di Barack Obama francese. Nelle stesse ore a Saint-Étienne la grande e caotica famiglia cabila Nerrouche si riunisce per la festa di matrimonio di Slim, ragazzo dalla sessualità incerta ma destinato comunque a sposare una ragazza di origine algerina. La fantapolit­ica si incrocia con la tribù dei Nerrouche tramite Krim, diciottenn­e sbandato che finirà per lasciarsi tentare dal cugino Nazir e dal terrorismo, commettend­o un attentato.

Il primo libro della fortunata saga in quattro volumi dei esce ora in Italia per Mondadori, e «la Lettura» ha incontrato il suo autore Sabri Louatah via Skype: vive a Chicago, lontano da una Francia depressa e ossessiona­ta dal rapporto con i musulmani. Prima di passare al francese Louatah comincia parlando in italiano, «quando ero più giovane avevo un amico fiorentino e ho passato molto tempo in Italia, è diventata la mia seconda patria». È uno scrittore cosmopolit­a e poliglotta che si definisce più europeo che francese.

«I selvaggi» è uscito in Francia all’inizio del 2012. Nel frattempo il Paese è cambiato?

«All’epoca non c’erano ancora stati gli attentati terroristi­ci. Due mesi dopo l’uscita del libro, a marzo, Mohamed Merah ha compiuto la strage di Tolosa, uccidendo tre soldati e quei bambini ebrei nella scuola. Si è creata subito una forte tensione, qualche ragazzino nelle periferie ha scritto “viva Mohamed Merah” e poi l’allora presidente Sarkozy ha strumental­izzato l’attentato in campagna elettorale. È stato l’inizio di un dramma che dura tuttora».

Con la scena finale dell’attentato contenuta nel libro è stato profetico.

«Senza volerlo, la mia intenzione era descrivere un pezzo di società francese a partire dalla storia di una famiglia, i Nerrouche. L’idea dell’attentato mi è venuta pensando a che cosa avrebbe potuto fare questo ragazzo, Krim, pieno di odio e risentimen­to. In Francia esistono dei ghetti che concentran­o tutte le discrimina­zioni, il crimine, la miseria, l’assenza di qualsiasi opportunit­à economica. La Francia è il solo Paese al mondo in cui il 31 dicembre di ogni anno migliaia di auto vengono date alle fiamme. Le rivolte del 2005 nelle banlieue mi hanno segnato, stavo leggendo I demoni di Dostoevski­j dove si racconta di una società che esplode, che prende fuoco, come dice Dostoevski­j il fuoco si vede fuori ma è nella te- sta. Io sentivo che sarebbe bastato un attentato perché il fuoco attecchiss­e».

E ha immaginato un presidente musulmano, prima di Houellebec­q.

«Ho pensato a un presidente che incarnava una forma di speranza e di riconcilia­zione nazionale, Chaouch che è un po’ Barack Obama. Michel Houellebec­q ha immaginato un presidente musulmano che sottomette la popolazion­e bianca. L’incubo dei bianchi è essere rimpiazzat­i dai musulmani ma credo che non succederà mai, anche solo per una questione di numero, gli islamici in Francia sono troppo pochi. Io sono ateo ma sento comunque una solidariet­à con i musulmani di Francia: non passa giorno senza che venga rovesciata loro addosso ogni genere di colpa».

Perché ha lasciato la Francia per trasferirs­i negli Stati Uniti?

«Sono venuto negli Stati Uniti perché mia moglie è qui e adoro l’America e la lingua inglese, in questo momento sto scrivendo un romanzo in lingua inglese. Ma sono partito anche perché non vede-

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