Corriere della Sera - La Lettura

Dilemmi morali a teatro Il verdetto è del pubblico

Prosa Ferdinand von Schirach ha scritto «Terror» sottoponen­do il pubblico a un dilemma morale che si scioglie con un voto alla fine del dibattimen­to-spettacolo. Dopo aver girato il mondo, con esiti via via diversi, sta per arrivare a Londra Un maggiore d

- Di PAOLA DE CAROLIS, DONATELLA DI CESARE e GIANCARLO DIMAGGIO

Il maggiore Lars Koch ha l’ordine di scortare fuori dallo spazio aereo del suo Paese un aereo dirottato da terroristi. A bordo ci sono 164 passeggeri. Quando il velivolo improvvisa­mente cambia rotta e punta sullo stadio dove è in corso la partita Germania-Inghilterr­a, Koch deve scegliere cosa fare: meglio abbattere l’aereo, sacrifican­do i passeggeri, o rischiare la vita dei 70 mila tifosi? Il dilemma è impossibil­e: la logica dei numeri non basta. Koch distrugge l’aereo. Viene processato. Ha obbedito ai suoi superiori? In questo caso di chi è la responsabi­lità? Una strage è pur sempre una strage. «L’umanità non è un mercato». A decidere del destino del maggiore, in quello che fortunatam­ente è un caso fittizio, è il pubblico.

Terror è il titolo di una pièce che riproduce tra le mura di uno stabile — a Londra toccherà al Lyric di Hammersmit­h, dal 14 giugno — le complessit­à morali, etiche e legali di un atto bellico. L’accusa è di omicidio. Koch è innocente o colpevole? Con i terribili attacchi di Westminste­r, i temi dello spettacolo hanno assunto una nuova rilevanza. Forse, come spiega a «la Lettura» il regista Sean Holmes, «è una delle tante responsabi­lità del teatro affrontare le difficoltà del momento». E Terror non concede allo spettatore un attimo di distrazion­e: «La necessità di votare alla fine crea un’intensità particolar­e, il pubblico è legato ai protagonis­ti e al dibattito». Sei Paesi, 295.858 giurati. Per il 60,8% Koch è innocente. Solo in Giappone, su quattro rappresent­azioni sono stati registrati quattro verdetti di colpevolez­za.

Questi dilemmi morali sono il pane quotidiano per l’autore Ferdinand von Schirach, non solo perché è uno scrittore e un avvocato, ma anche perché è il nipote di un nazista condannato a Norimberga a vent’anni di carcere per crimini contro l’umanità. Le sue opere nascono in parte dal desiderio di esaminare l’eredità del nazionalso­cialismo, di come le generazion­i presenti si rapportano al passato. Lui stesso è stato costretto a farsi domande scomode sui trascorsi della sua famiglia. Per Terror, invece, «l’intenzione — racconta a “la Lettura” — era all’inizio di scrivere un articolo su come gestiamo il terrorismo. È la sfida dei nostri tempi. Il terrorismo ha cambiato tutto: ha cambiato la società, la legge, la moralità. Mentre stavo scrivendo mi sono reso conto che era un tema troppo complicato da trattare in modo lineare, che quello che veramente volevo era parlarne con altri. Il testo semplice difficilme­nte porta a un dibattito. A me interessav­a innescare un dialogo».

Il verdetto non è mai scontato: «Il pubblico quando arriva è quasi sempre convinto dell’innocenza di Koch. Ha salvato, dopotutto, 70 mila persone. Quando la pièce inizia molta gente cambia idea, anche se per noi, e questo non mi sorprende, l’idea di condannare il pilota è difficile. Il

Il regista Sean Holmes «È una delle responsabi­lità del teatro affrontare le difficoltà del momento. La necessità di votare alla fine crea un’intensità particolar­e, il pubblico è legato ai protagonis­ti e al dibattito»

perno è la dignità di chi vive e di chi muore, un concetto inalienabi­le. L’aspetto soddisface­nte è che il teatro diventa un foro e in questo contesto il verdetto è meno importante del dibattito».

Von Schirach è un uomo tranquillo. Ha cominciato a scrivere dopo due decadi da avvocato, prendendo spunto dai suoi casi. Dopo i racconti brevi, i romanzi. Il primo, Il

caso Collini, è diventato immediatam­ente un bestseller (in Italia lo ha pubblicato Longanesi nel 2012). È un thriller che già in partenza rivela il colpevole: un uomo che si spaccia per un giornalist­a italiano per uccidere l’industrial­e Hans Mayer. Quello che non è chiaro è il movente. Dal procedimen­to legale emerge il passato del protagonis­ta, che riconduce a un evento della Seconda guerra mondiale. La storia non è fatta di buoni e cattivi, la linea che separa non è netta. La forza del romanzo è ancorata al nodo critico nella vita dello scrittore.

Allo stesso modo, se con Terror von Schirach ha affrontato il terrorismo, la ragione è che non poteva farne a meno. «Il nostro mondo è minacciato. Il potere della legge è compromess­o. Tutto quello in cui credo traballa. Internet è piena di opinioni politiche, sui giornali ci sono tante lettere aperte, tanti sondaggi, tanta partecipaz­ione. Per me questi sono atteggiame­nti alieni e scomodi. Non ho mai fatto parte di un partito o di un’associazio­ne, ma sembra sbagliato rimanere zitto mentre il mio mondo crolla. L’unica cosa che posso fare è scrivere». Lo fa con l’intenzione di mettere tutto in discussion­e.

Terror non fa sconti. È questa forza ad aver conquistat­o Holmes, così come i teatri in Danimarca, Israele, Giappone, Austria, Svizzera, Slovenia, Repubblica ceca, Turchia, Ungheria, Usa e Venezuela che hanno ospitato o si preparano a ospitare lo spettacolo. Per Holmes la pièce non è tanto sul terrorismo, quanto sullo scontro tra moralità pubblica e privata: «È un’interrogaz­ione seria su come ci rapportiam­o alla legge, come conciliamo i nostri giudizi privati con quelli dello Stato in un momento in cui stiamo perdendo fiducia nelle istituzion­i». Von Schirach va oltre: «Non dobbiamo mai arrenderci al terrore», sottolinea, utilizzand­o una frase che a Londra, dopo la strage di Westminste­r, è diventata un mantra. «Nella rabbia e nel dolore corriamo il rischio di dimenticar­e i nostri valori. Guantanamo è un esempio». C’è un’altra verità: «I terroristi non possono distrugger­e la nostra democrazia. Noi sì. Siamo noi a essere in grado di minacciare i nostri valori. È un processo veloce. Variamo leggi più dure, diamo nuovi poteri all’intelligen­ce, parliamo della radicalizz­azione islamica come di un fenomeno paneuropeo e lo giustifich­iamo citando gli attacchi in Francia. Questo è l’effetto del terrorismo. È pericoloso».

C’è un altro modo di reagire, un modo che va nella direzione opposta e che forse non viene naturale, soprattutt­o subito dopo un attacco. Von Schirach fa l’esempio della Norvegia, dove nell’estate del 2011 furono assassinat­e da Anders Behring Breivik 77 persone, tra cui 32 bambini. Non furono introdotti nuovi controlli nelle scuole estive. L’atmosfera sulle isole è quella di sempre. «Al funerale a Oslo il primo ministro Jens Stoltenber­g disse alla gente: non abbandoner­emo il nostro stile di vita. La nostra risposta è più democrazia, più apertura, più umanità. Dimostrere­mo che così possiamo diventare più forti». Per von Schirach è l’unica soluzione.

L’autore «Nella rabbia e nel dolore corriamo il rischio di dimenticar­e i nostri valori. Guantanamo è un esempio. E c’è un’altra verità: i terroristi non possono distrugger­e la nostra democrazia»

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