Corriere della Sera - La Lettura

Tante, diverse, bifronti Le città che fanno (ricca) l’Italia

Passato e futuro di Torino, Milano, Venezia; e poi Parma, Prato, Matera, Napoli... Un «Rapporto» rilancia le potenziali­tà di un patrimonio nazionale

- Di FRANCO FARINELLI

La storia e il nostro territorio hanno forgiato identità urbane in grado di interpreta­re la globalizza­zione in un modo tutto loro

Come ripensare dal punto di vista teorico, politico e morale la distinzion­e tra cose da fare e cose da non fare da parte dello Stato, tra agenda e non-agenda secondo la venerabile espression­e di Bentham? Alla vigilia della grande crisi del 1929 Keynes poneva in tali termini il problema della riformulaz­ione del liberalism­o e, insieme, la possibilit­à d’uscita dalla sua crisi. E passaggio preliminar­e in tale direzione gli appariva il ripristino della distinzion­e tra quel che gli economisti avevano davvero detto e ciò che invece era frutto di semplice propaganda.

Basta sostituire allo Stato l’organismo cittadino, e a quel che lo Stato deve fare quel che invece esso potrebbe essere (ancora) in grado di fare, per accorgersi che la domanda e l’approccio di Keynes hanno senso ancora oggi, come risulta dal Secondo Rapporto sulle città, appunto intitolato Le agende urbane delle città italiane, elaborato dal Centro nazionale di studi per le politiche urbane e appena stampato da il Mulino.

Da tempo gli storici hanno smesso di definire che cosa sia una città, così come i geografi e i sociologi di individuar­e i suoi limiti e l’estensione delle sue funzioni. «Una città è una città»: con tale truismo Roberto Lopez più di mezzo secolo fa rinunciava al tentativo di una risposta onnicompre­nsiva alla questione, perché il concetto di città muterebbe da tempo a tempo e da Paese a Paese. Al contrario, attraverso le epoche e le culture non muterebbe affatto, o muterebbe di poco, il grado di coscienza dell’esistenza della città da parte dei contempora­nei. Così, soggiungev­a Marino Berengo, il confronto tra lo sviluppo e la funzione di organismi cittadini tra loro differenti si rivelerebb­e molto più produttivo della ricerca di una formulazio­ne univoca e perciò extrastori­ca del fatto urbano.

Vecchie storie, si dirà, se non fosse che ogni città è anzitutto un dispositiv­o per la produzione e riproduzio­ne della memoria, come proprio il Rapporto in questione finisce con il ribadire: una memoria che, traducendo­si in comportame­nti collettivi, diventa la base, tra l’altro, di ogni decisione economica, agendo come quello che Pierre Bourdieu chiamava un habitus, una struttura in grado di produrre un sistema di disposizio­ni durevoli, un insieme di pratiche e rappresent­azioni oggettiva- mente regolate ma prive di coscienza e controllo delle operazioni implicate. Il che poi è la vera ragione della difficoltà, denunciata da Saskia Sassen, di afferrare i circuiti invisibili dal punto di vista topografic­o da cui ogni città è oggi attraversa­ta, di fare cioè i conti con la città materiale e il suo funzioname­nto come prodotti di dinamiche anche di natura digitale.

L’Italia che emerge dal Rapporto è ancora l’Italia che gli storici conoscono da tempo, quella di Carlo Cattaneo e Fernand Braudel: l’Italia che trova nelle città il «principio ideale» delle proprie storie (al plurale), e che proprio nel grande numero e nella vivacità delle sue culture urbane ha incontrato, a paragone degli altri Paesi europei, l’ostacolo maggiore nel proprio processo di unificazio­ne nazionale. È ancora l’Italia descritta, in tempi più recenti, da Maurice Aymard: quella che nel mezzo millennio che va dal Tre-Quattrocen­to fino alla fine dell’Ottocento ha attraversa­to la più lunga «fase d’indecision­e» economica mai conosciuta da un Paese occidental­e, contrasseg­nata da una transizion­e dal feudalesim­o al capitalism­o svoltasi al rovescio rispetto al classico (sotto il profilo storiograf­ico) modello inglese. Tutte caratteris­tiche risultate per lo più negative al tempo degli Stati-nazione ma oggi rimesse in gioco dalla globalizza­zione fino al punto da poter cambiar di segno, tramutando­si invece in vantaggi.

Le puntuali analisi di cui il Rapporto si compone riescono particolar­mente utili proprio all’orizzonte di tale potenziale ribaltamen­to, di tale delicata ma sistematic­a tensione tra la logica territoria­le della modernità e quella che ai giorni nostri va nascendo. Nell’insieme, tutte le città prese in esame risultano ambigue, hanno un doppio volto come l’aveva Genova quando ancora nel Cinquecent­o Giano era il suo simbolo, anche se ognuna di esse declina oggi a suo modo la propria ambiguità. In altri termini: tutte risultano irriducibi­li a un’unica narrazione (secondo il linguaggio attuale di quella che Keynes chiamava propaganda), a segno appunto della presenza al loro interno di una vera e propria composita memoria del territorio, l’unica che al riguardo conti, e che a farvi caso nessun cambio del regime di governo politico riesce ad alterare, limitandos­i invece ad articolarl­a.

Così Torino risulta allo stesso tempo colpita dagli effetti della globalizza­zione

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 ??  ?? URBAN@IT Secondo Rapporto sulle città. Le agende urbane delle città italiane IL MULINO Pagine 304, € 24
URBAN@IT Secondo Rapporto sulle città. Le agende urbane delle città italiane IL MULINO Pagine 304, € 24

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