Corriere della Sera - La Lettura
INFORMALI O ILLEGALI, LE ALTRE DIMORE
Avere una dimora, un luogo in cui organizzare la propria vita con le persone care, è uno dei bisogni essenziali dell’uomo, al quale l’urbanistica e l’economia della modernità stentano a dare risposte soddisfacenti per vari motivi: la loro tendenza all’omologazione alienante, la pressione dei flussi migratori, il peso degli interessi speculativi. Basti pensare che proprio i mutui per la casa sono stati la miccia della grande crisi finanziaria esplosa nel 2008. A queste difficoltà del sistema corrispondono i fenomeni esplorati dall’antropologo Andrea Staid nel libro Abitare illegale (Milieu, pp. 181, € 14,90): un viaggio molto interessante (e ricco di fotografie) tra le più diverse esperienze, a volte virtuose, a volte drammatiche, che si sottraggono alla politica ufficiale degli alloggi.
Il libro è una sorta di rassegna dedicata all’arte di arrangiarsi. Parla di popolazioni nomadi che non sopportano di vivere tra quattro mura, di co- muni rurali attentissime agli equilibri ecologici, di chi occupa abusivamente appartamenti sfitti perché ha bisogno di un tetto e non ha i soldi per pagarselo. Ci sono persone che, per loro scelta, vivono in piena Berlino dentro tende che ricordano quelle dei mongoli o dei nativi americani nei film western. E ci sono testimonianze inquietanti sulle baraccopoli pugliesi dei braccianti africani, in particolare il Gran Ghetto, nei pressi di Foggia, che di recente è stato teatro di vicende tragiche.
Staid, pur senza idealizzarle troppo, legge queste realtà in chiave libertaria, come forme di resistenza ai vincoli imposti dal potere politico e dalla logica del profitto. Di certo sono sintomi, in parte creativi e in parte patologici, di come la multiformità dei comportamenti e delle culture sfugga sempre agli sforzi regolatori troppo rigidi. Anche solo governarla è un compito arduo.