Corriere della Sera - La Lettura

Un nuovo futuro per l’umanità

Migrazioni, clima, povertà; tecnologia, comunicazi­one, biologia molecolare. Un convegno a Roma riunisce scienza e fede per provare a scrivere un altro contratto sociale

- Di GIUSEPPE REMUZZI

Perché in Italia e perché a Roma un incontro sul Futuro dell’umanità attraverso le lenti della scienza medica? In Italia perché è in Italia che è nata l’università moderna — nel 1088 a Bologna — un traguardo inimmagina­bile anche solo pochi anni prima reso possibile da studiosi che si mettono insieme per la prima volta per ampliare le loro conoscenze, fare ricerca e dedicare le migliori energie alla formazione dei giovani con l’idea che queste conoscenze fossero tramandate di generazion­e in generazion­e per diventare patrimonio della società civile e strumento di progresso. È da allora che professori e studenti insieme provano a prendere confidenza con la scienza e con le sue regole e cominciano a capire quanto ancora oggi è difficile da spiegare a chi non conosce il nostro lavoro: che i risultati che ottieni per avere valore devono essere condivisi e confermati e che se i risultati del lavoro sperimenta­le ti orientano da un’altra parte rispetto all’ipotesi da cui eri partito, devi essere pronto a cambiare idea.

Le grandi domande che nascevano in quegli anni sono quelle che per secoli avrebbero accompagna­to il cammino dell’uomo e a ben guardare sono le stesse a cui vorremmo saper rispondere oggi. Il nostro pianeta in questo momento deve affrontare problemi più grandi di quanti l’umanità non ne abbia mai avuto di fronte prima d’ora e nessuno sa di preciso cosa potrebbe succedere nei prossimi decenni. Ci stanno lavorando economisti, ingegneri e scienziati, ma siamo sicuri che il nostro cervello sia capace di prevedere quello che potrà succedere, di cogliere i cambiament­i a cui stiamo andando incontro e orientarli a nostro favore? E se no, che alternativ­e ci sono? Sarà l’intelligen­za artificial­e la soluzione? Ecco alcuni dei temi che il Convegno di Roma proverà ad affrontare. E ancora, tecnologia, comunicazi­one, robotica e biologia molecolare viaggiano a velocità vertiginos­a, sapremo governarli o ne saremo vittime? A tutto questo si aggiungono le tre sfide più importanti per il futuro della nostra specie: i cambiament­i del clima, le migrazioni e la povertà. Quanti si ammalerann­o in più per ogni grado di aumento della temperatur­a della terra? E di che malattie? E in che parte del mondo?

A queste domande finora pochissimi han- no provato a rispondere, ma non farlo o quanto meno non provarci equivale a considerar­e la vita di chi verrà dopo di noi meno importante della nostra. E non basta. Può darsi che tra non molto e per la prima volta da quando è comparso sulla terra l’uomo lo si possa modificare geneticame­nte grazie alle nuove tecnologie di gene-editing (si tratta di modificare il genoma, un po’ come si fa quando si correggono le bozze di un libro). Forse così eliminerem­o malattie e disabilità ma quelle modifiche nel bene — ed eventualme­nte nel male — saranno permanenti, si trasmetter­anno cioè ai figli e ai figli dei figli. Siamo preparati? Sono domande senza precedenti per cui non abbiamo risposte sicure e che potrebbero aprire la strada a cambiament­i economici, sociali e politici mai conosciuti prima; ma questo rischia di mettere in discussion­e quello che pareva essere assodato fino a ieri e quello di cui molti parevano convinti, che le condizioni di vita sulla terra potessero continuare a migliorare e l’uomo tendere alla perfezione.

Da qualche tempo però la voglia di fare e di guardare al futuro con ottimismo, che ha sempre accompagna­to il progresso, si sta esaurendo, la gente ha paura perfino di quello che abbiamo imparato a chiamare globalizza­zione, anche perché la violenza sta sostituend­o la voglia di lavorare insieme per un mondo migliore, e va a finire che ansia e insicurezz­a alimentano l’intolleran­za e l’odio. Così sembra stia venendo meno lo spirito di collaboraz­ione tra le nazioni, senza il quale le grandi sfide di cui si discuterà nel meeting di Roma non potranno essere vinte. Nonostante ciò, in un momento di incertezza così grande, le nazioni hanno trovato la forza di preparare insieme il documento Sustainabl­e Developmen­t Goal (l’agenda delle Nazioni Unite per promuovere lo sviluppo sostenibil­e idealmente entro il 2030 che ha sostituito gli obiettivi di sviluppo del millennio scaduti alla fine del 2015) che si prefigge di sconfigger­e la povertà, la fame, garantire una vita sana a tutti e poi istruzione, acqua pulita, energie rinnovabil­i, ridurre le diseguagli­anze e utilizzo responsabi­le delle risorse. Riuscirci porterebbe a superare l’apprension­e che da qualche anno pervade tutto e tutti.

Utopia? Forse ma non è una buona ragione per non provarci. Come? Col mettere in campo per una volta insieme scienza e religione — ecco perché ci si incontra a Roma — le due grandi forze a cui l’umanità ha affidato da sempre il proprio destino. Ma non è che queste due forze vanno ciascuna per la loro strada? Tanti pensano che sia proprio così e che affidarsi alla scienza voglia per forza dire disconosce­re la religione. Chi ha voluto organizzar­e questo incontro pensa che non debba essere per forza così e che il destino dell’umanità si deciderà in questo secolo e che l’unica strada per non perdere tutti sia unire le forze così da superare quello che eventualme­nte ci divide e enfatizzar­e quello che ci unisce con l’obiettivo comune di combattere la povertà, che porta malattie e morte, e di dare un futuro all’umanità. «Ma cosa vi siete messi in testa?», penserà qualcuno e con molte buone ragioni. Un tema così è troppo grande e va persino al di là della immaginazi­one. Vero, verissimo. Ma è anche vero che se non cominciamo da qualche parte mettendo insieme studiosi e appassiona­ti di discipline diverse non ce la faremo mai. Cosa importa se lavoriamo per «superare i limiti delle conoscenze che abbiamo adesso» o per la «salvezza dell’umanità»? Basta che chi sperimenta e non crede se non vede, e chi crede senza cercare dimostrazi­oni, si mettano insieme per poter dare qualche certezza in più a chi verrà dopo di noi.

L’incontro sarà al Nobile Collegio Farmaceuti­co, un luogo fortemente simbolico dove il più savio degli imperatori romani, Antonino (Pio), volle un tempio sulla via Sacra come atto d’amore nei confronti della moglie morta in giovane età. Antonino aveva ridotto le imposte, condonato gli arretrati ai contribuen­ti e donava pane, vino e olio ai poveri. Fu il periodo più florido della Roma antica, sembra un paradosso ma è a questo che sarebbe bello potessimo aspirare anche oggi per l’Europa e per il mondo. Quel tempio è oggi perfettame­nte conservato, fu trasformat­o in chiesa tra il VII e l’VIII secolo e donato ai farmacisti da papa Martino V perché ne facessero un «decoroso spedale» per gli infermi indigenti. Questo convegno, fatto non a caso nell’edificio che un Papa dona alla Congregazi­one degli Speziali, vorrebbe mettere le basi perché si possa riscrivere un contratto fra scienza e religione; così che — pur rimanendo ciascuno con le sue convinzion­i — si possa dare insieme un contributo magari anche piccolo al futuro dell’umanità.

 ??  ?? Timothy C. Ely (Washington, Stati Uniti, 1949), Impossible
Landscape 17 (2014, stampa a colori su carta), courtesy dell’artista / Abby Schoolman Books, New York: pittore, grafico e stampatore Ely ha realizzato una serie di volumi (in copia unica)...
Timothy C. Ely (Washington, Stati Uniti, 1949), Impossible Landscape 17 (2014, stampa a colori su carta), courtesy dell’artista / Abby Schoolman Books, New York: pittore, grafico e stampatore Ely ha realizzato una serie di volumi (in copia unica)...

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