Corriere della Sera - La Lettura
Cent’anni di schiavitù in Libia
Najwa Benshatwan è l’unica donna del «Booker arabo». Narra un amore impossibile
Tre donne in abiti tradizionali e due bambini carichi di mercanzie camminano tra le baracche di legno e di paglia sotto il sole cocente. È una foto di schiavi nella Libia di inizio Novecento. Trovata dalla scrittrice Najwa Benshatwan tra le cianfrusaglie di famiglia, l’ha ossessionata per anni. «Probabilmente fu scattata da un ricercatore o da un soldato italiano, in un quartiere alla periferia di Bengasi, dove vivevano in miseria gli schiavi di origine africana», dice a «la Lettura».
Il nome di quel quartiere, Zarayeb Alabeed, cioè Le baracche degli schiavi, è il titolo del romanzo d’esordio di Benshatwan, 46 anni, unica donna quest’anno tra i sei finalisti del Premio internazionale del romanzo arabo (detto «Booker arabo»): il vincitore verrà annunciato il 25 aprile. È la storia dell’amore impossibile tra una schiava e il figlio del padrone, ambientata a Bengasi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: il ragazzo viene allontanano, lei venduta e costretta a prostituirsi. «La schiavitù in Libia fu abolita nel 1884 per ordine del sultano ottomano allora al potere, ma in realtà come fenomeno sociale è rimasta in vigore fino al colonialismo italiano». Nella figura del padre-padrone, che decide della sorte dei figli, non è difficile leggere la storia più recente: questo romanzo, come ha detto un amico a Najwa, sembra raccontare i «cent’anni (e più) di solitudine» della Libia, e la mancanza di libertà che ha continuato ad affliggere il Paese sotto gli italiani, la monarchia, la dittatura di Gheddafi e anche dopo le rivolte del 2011.
Ma la schiavitù è anche un tema in sé estremamente delicato. Il Corano la autorizza e l’Isis fa riferimento ai testi sacri per giustificare le violenze sulle prigioniere. «Non ci sono studi approfonditi sullo schiavismo, perché è un tabù in tutte le società islamiche — spiega la scrittrice —. È una realtà indifendibile, che la mente razionale non può accettare, ma nella teologia islamica non è mai stata abolita. I ricercatori musulmani che hanno trattato il problema non sono obiettivi. Bofonchiano frasi come: “L’islam è venuto per liberare l’umanità!”, citano le sure del Corano che invitano il credente a liberare gli schiavi per farsi assolve-