Corriere della Sera - La Lettura
Le magnifiche sorti e regressive, sì, regressive
Torna «Mausoleum» di Hans Magnus Enzensberger, uscito in Germania nel 1975 e da noi nel 1979: uno dei pilastri della lirica europea «non ortodossa». Un canto eretico dell’idea di progresso che è poi un epos di sconfitte
Che cos’è il progresso? In verità, una sua definizione anche sommaria sembrerebbe un’impresa disperata. Si può dire però che la poesia degli ultimi due secoli abbia per lo più diffidato dell’idea di un miglioramento sostanziale delle condizioni e, più radicalmente, del destino dell’uomo. Viceversa, quando i poeti hanno voluto celebrare l’avanzamento della storia cavalcando l’onda ora di questa ora di quella ideologia (il fascismo, il comunismo, il capitalismo, ma anche il mito della scienza o della tecnica), davvero di rado hanno raggiunto risultati plausibili.
Czesław Miłosz, il poeta polacco che ha vissuto spesso in prima persona le tristi vicende del ventesimo secolo, ha scritto non a caso pagine molto precise sui disperati tentativi degli scrittori per accordarsi alla parola «avanti». Chissà, forse la poesia possiede un modo tutto suo di cantare la vita attraverso uno sguardo a più direzioni o dimensioni: avanti, in alto, in basso, ma anche, con tutti i paradossi che ne possono derivare, indietro. In questo genere di poesia critica rientra in pieno Mausoleum del tedesco Hans Magnus Enzensberger, un libro che costituisce una delle pietre miliari della poesia europea nata al di fuori o al di là del canone lirico più ortodosso.
Uscito in lingua originale nel 1975 e pubblicato in Italia nel 1979, viene ora riproposto da Einaudi nella traduzione lievemente aggiornata di Vittoria Alliata. Enzensberger non è certo un autore criptico, così il sottotitolo della raccolta indica a chiare lettere di cosa si tratti: Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso. La questione è dunque quella del progresso o appunto della parola «avanti». E giustamente nella quarta di copertina viene richiamato lo scetticismo leopardiano verso le «magnifiche sorti e progressive» della Ginestra, a cui si può aggiungere anche la Storia del genere umano che apre le Operette morali.
Diciamo allora che nella nostra tradizione i vaccini contro le facili illusioni progressive non mancano di certo; e che anzi proprio attraverso Leopardi questi vaccini dovrebbero essere forse più robusti che in qualsiasi altra. Così questi versi, tratti dalla ballata dedicata a Lazzaro Spallanzani, tutti giocati sul rovesciamento delle contromisure ironiche, possono risultarci persino familiari: «Funzionalmente l’uomo persegue la sua impresa,/ una specie animale, che marcia allegramente in avanti. Eureka!// Le conseguenze di tali esperimenti si accertino con estrema cura»; oppure questi, che riguardano Charles Darwin, visto come vittima dell’arma a doppio taglio (e a doppio senso) dei suoi stessi convincimenti: « L’Origine della specie nasce/ e si sviluppa, “naturalmente”, senza sosta,/ una nuova specie d’idee, in un processo/ che sgretola colui che sgretola, gradualmente,/ pian piano, e inesorabilmente».
A questo punto, chi procede in avanti e chi indietro? Che cosa cresce e cosa invece deperisce? Certo è che la bussola poetica di Enzensberger costringe come poche a riconfigurare il nostro orientamento più prevedibile. Ma com’è costruito Mausoleum? Come una galleria di ritratti di uomini che hanno contribuito o, per lo meno, che dovrebbero aver contribuito all’avanzamento della storia. Il titolo stesso, del resto, è antifrastico, e il grande cimitero poetico non si può dire se celebri una serie di conquiste o di ammanchi, di passi in avanti oppure di passi falsi. Probabilmente tutt’e due le cose. Insieme all’intensità delle vocazioni e degli intendimenti, alla grandiosità delle stesse ossessioni, queste poesie sono costellate di rovine, naufragi, equivoci, di delusioni e rovesciamenti. E antifrastico allora è anche il riferimento alla ballata, o più precisamente alla romanza romantica, che in origine aveva andamento sì narrativo, ma argomento e tono epico-eroico, se non mitico.
Il rovesciamento, che a tutti gli effetti è il metro di Mausoleum, riguarda dunque tanto il contenuto quanto la forma del contenuto. Da un punto di vista narrativo, il genere si potrebbe definire del ritratto in miniatura. I personaggi, queste dramatis personae eccellenti del grande spettacolo della storia (o meglio, visto che si tratta di ballate, del suo interminabile giro di danza), sono disposti in ordine cronologico, dal medioevo al presente. Tra questi, Gutenberg, Machiavelli, Bernardino de Sahagún, Tommaso Campanella, Leibni z , L i nneo, Pi r a nesi , Al ex a nder vo n Humboldt, Fourier, Blanqui, Chopin, Bakunin (a lui è dedicata la poesia non più bella ma più partecipe), Ugo Cerletti (l’ideatore dell’elettroshock), Molotov, Turing, Che Guevara. E d’altro canto, in sintonia col carattere dei protagonisti, l’interesse è tutto spostato dalla parte della scienza, della tecnica, o comunque di ambiti disciplinari non artistici o non propriamente umanistici: medicina, matematica, astronomia, ingegneria, economia, botanica, fisiologia, geografia, urbanistica, politica.
Enzensberger è un poeta, ma anche un narratore, un saggista, un polemista, un traduttore, un autore per l’infanzia. Un poligrafo, insomma. Da questo punto di vista, si può dire che Mausoleum rappresenti un po’ il luogo geometrico della sua opera di scrittore. Vicende e invenzioni mirabili e abiette, esaltazione e mortificazione, genialità e follia, inganno, illusionismo, utopia, sogno e disinganno: in queste vite brevi a cavallo tra individualità e storia, tra umanesimo e tecnica (che si corrodono a vicenda), è riuscito infatti a dare piena espressione alla sua versatilità e al suo estro creativo, realizzando una specie di condensato delle sue qualità migliori. A cominciare da quelle stilistiche: versi (disposti in soluzioni metriche e grafiche molto variate), brani in prosa, citazioni, documenti e testimonianze d’epoca, moduli narrativi, descrizioni, elencazione ellittica, cataloghi, stile nominale (l’organizzazione sintattica sembrerebbe troppo lenta: è un po’ lo stile del Principe questo suo), l’utilizzo quasi continuo della tecnica del pastiche.
La rappresentazione è però tutt’altro che anarchica ma funzionale alla perspicuità del disegno, alla dimostrazione poetica. Più volte sembra di avere sotto agli occhi (in forma di parole) il quadro di un pittore fiammingo del Quattrocento: gente affaccendata, gente al lavoro, gente posseduta dalla propria idea, opere, animali, oggetti, attrezzi, strumenti, un susseguirsi di scene, di episodi, di particolari, di cose da fare. Ma dietro a tutto si trova comunque il poeta che governa il quadro, spostando continuamente il punto di vista e l’intonazione (ironia, sarcasmo, indignazione, racconto puro, passaggi lirici), accostando e cucendo con maestria i pezzi del proprio spartito. Potrebbe sembrare perfino un libro scritto a freddo. Invece è il contrario: è un libro scritto non solo con curiosità ma con passione, come con una specie di febbre. Questi pezzi della storia del progresso, indistinguibile dalle sue ritorsioni e dai suoi andirivieni tra senso e non senso, catturano continuamente Enzensberger, che riconosce di esserne parte assieme alla propria poesia.
Sono tanti i momenti in cui nei ritratti di Mausoleum si rispecchia il volto del poeta. Come avviene proprio col terribile e cinico segretario fiorentino, che di sera entra nelle vite degli uomini antichi, che di notte scrive sonetti d’amore. «Niccolò, fratello»...