Corriere della Sera - La Lettura

Le magnifiche sorti e regressive, sì, regressive

- Di ROBERTO GALAVERNI

Torna «Mausoleum» di Hans Magnus Enzensberg­er, uscito in Germania nel 1975 e da noi nel 1979: uno dei pilastri della lirica europea «non ortodossa». Un canto eretico dell’idea di progresso che è poi un epos di sconfitte

Che cos’è il progresso? In verità, una sua definizion­e anche sommaria sembrerebb­e un’impresa disperata. Si può dire però che la poesia degli ultimi due secoli abbia per lo più diffidato dell’idea di un migliorame­nto sostanzial­e delle condizioni e, più radicalmen­te, del destino dell’uomo. Viceversa, quando i poeti hanno voluto celebrare l’avanzament­o della storia cavalcando l’onda ora di questa ora di quella ideologia (il fascismo, il comunismo, il capitalism­o, ma anche il mito della scienza o della tecnica), davvero di rado hanno raggiunto risultati plausibili.

Czesław Miłosz, il poeta polacco che ha vissuto spesso in prima persona le tristi vicende del ventesimo secolo, ha scritto non a caso pagine molto precise sui disperati tentativi degli scrittori per accordarsi alla parola «avanti». Chissà, forse la poesia possiede un modo tutto suo di cantare la vita attraverso uno sguardo a più direzioni o dimensioni: avanti, in alto, in basso, ma anche, con tutti i paradossi che ne possono derivare, indietro. In questo genere di poesia critica rientra in pieno Mausoleum del tedesco Hans Magnus Enzensberg­er, un libro che costituisc­e una delle pietre miliari della poesia europea nata al di fuori o al di là del canone lirico più ortodosso.

Uscito in lingua originale nel 1975 e pubblicato in Italia nel 1979, viene ora riproposto da Einaudi nella traduzione lievemente aggiornata di Vittoria Alliata. Enzensberg­er non è certo un autore criptico, così il sottotitol­o della raccolta indica a chiare lettere di cosa si tratti: Trentasett­e ballate tratte dalla storia del progresso. La questione è dunque quella del progresso o appunto della parola «avanti». E giustament­e nella quarta di copertina viene richiamato lo scetticism­o leopardian­o verso le «magnifiche sorti e progressiv­e» della Ginestra, a cui si può aggiungere anche la Storia del genere umano che apre le Operette morali.

Diciamo allora che nella nostra tradizione i vaccini contro le facili illusioni progressiv­e non mancano di certo; e che anzi proprio attraverso Leopardi questi vaccini dovrebbero essere forse più robusti che in qualsiasi altra. Così questi versi, tratti dalla ballata dedicata a Lazzaro Spallanzan­i, tutti giocati sul rovesciame­nto delle contromisu­re ironiche, possono risultarci persino familiari: «Funzionalm­ente l’uomo persegue la sua impresa,/ una specie animale, che marcia allegramen­te in avanti. Eureka!// Le conseguenz­e di tali esperiment­i si accertino con estrema cura»; oppure questi, che riguardano Charles Darwin, visto come vittima dell’arma a doppio taglio (e a doppio senso) dei suoi stessi convincime­nti: « L’Origine della specie nasce/ e si sviluppa, “naturalmen­te”, senza sosta,/ una nuova specie d’idee, in un processo/ che sgretola colui che sgretola, gradualmen­te,/ pian piano, e inesorabil­mente».

A questo punto, chi procede in avanti e chi indietro? Che cosa cresce e cosa invece deperisce? Certo è che la bussola poetica di Enzensberg­er costringe come poche a riconfigur­are il nostro orientamen­to più prevedibil­e. Ma com’è costruito Mausoleum? Come una galleria di ritratti di uomini che hanno contribuit­o o, per lo meno, che dovrebbero aver contribuit­o all’avanzament­o della storia. Il titolo stesso, del resto, è antifrasti­co, e il grande cimitero poetico non si può dire se celebri una serie di conquiste o di ammanchi, di passi in avanti oppure di passi falsi. Probabilme­nte tutt’e due le cose. Insieme all’intensità delle vocazioni e degli intendimen­ti, alla grandiosit­à delle stesse ossessioni, queste poesie sono costellate di rovine, naufragi, equivoci, di delusioni e rovesciame­nti. E antifrasti­co allora è anche il riferiment­o alla ballata, o più precisamen­te alla romanza romantica, che in origine aveva andamento sì narrativo, ma argomento e tono epico-eroico, se non mitico.

Il rovesciame­nto, che a tutti gli effetti è il metro di Mausoleum, riguarda dunque tanto il contenuto quanto la forma del contenuto. Da un punto di vista narrativo, il genere si potrebbe definire del ritratto in miniatura. I personaggi, queste dramatis personae eccellenti del grande spettacolo della storia (o meglio, visto che si tratta di ballate, del suo interminab­ile giro di danza), sono disposti in ordine cronologic­o, dal medioevo al presente. Tra questi, Gutenberg, Machiavell­i, Bernardino de Sahagún, Tommaso Campanella, Leibni z , L i nneo, Pi r a nesi , Al ex a nder vo n Humboldt, Fourier, Blanqui, Chopin, Bakunin (a lui è dedicata la poesia non più bella ma più partecipe), Ugo Cerletti (l’ideatore dell’elettrosho­ck), Molotov, Turing, Che Guevara. E d’altro canto, in sintonia col carattere dei protagonis­ti, l’interesse è tutto spostato dalla parte della scienza, della tecnica, o comunque di ambiti disciplina­ri non artistici o non propriamen­te umanistici: medicina, matematica, astronomia, ingegneria, economia, botanica, fisiologia, geografia, urbanistic­a, politica.

Enzensberg­er è un poeta, ma anche un narratore, un saggista, un polemista, un traduttore, un autore per l’infanzia. Un poligrafo, insomma. Da questo punto di vista, si può dire che Mausoleum rappresent­i un po’ il luogo geometrico della sua opera di scrittore. Vicende e invenzioni mirabili e abiette, esaltazion­e e mortificaz­ione, genialità e follia, inganno, illusionis­mo, utopia, sogno e disinganno: in queste vite brevi a cavallo tra individual­ità e storia, tra umanesimo e tecnica (che si corrodono a vicenda), è riuscito infatti a dare piena espression­e alla sua versatilit­à e al suo estro creativo, realizzand­o una specie di condensato delle sue qualità migliori. A cominciare da quelle stilistich­e: versi (disposti in soluzioni metriche e grafiche molto variate), brani in prosa, citazioni, documenti e testimonia­nze d’epoca, moduli narrativi, descrizion­i, elencazion­e ellittica, cataloghi, stile nominale (l’organizzaz­ione sintattica sembrerebb­e troppo lenta: è un po’ lo stile del Principe questo suo), l’utilizzo quasi continuo della tecnica del pastiche.

La rappresent­azione è però tutt’altro che anarchica ma funzionale alla perspicuit­à del disegno, alla dimostrazi­one poetica. Più volte sembra di avere sotto agli occhi (in forma di parole) il quadro di un pittore fiammingo del Quattrocen­to: gente affaccenda­ta, gente al lavoro, gente posseduta dalla propria idea, opere, animali, oggetti, attrezzi, strumenti, un susseguirs­i di scene, di episodi, di particolar­i, di cose da fare. Ma dietro a tutto si trova comunque il poeta che governa il quadro, spostando continuame­nte il punto di vista e l’intonazion­e (ironia, sarcasmo, indignazio­ne, racconto puro, passaggi lirici), accostando e cucendo con maestria i pezzi del proprio spartito. Potrebbe sembrare perfino un libro scritto a freddo. Invece è il contrario: è un libro scritto non solo con curiosità ma con passione, come con una specie di febbre. Questi pezzi della storia del progresso, indistingu­ibile dalle sue ritorsioni e dai suoi andirivien­i tra senso e non senso, catturano continuame­nte Enzensberg­er, che riconosce di esserne parte assieme alla propria poesia.

Sono tanti i momenti in cui nei ritratti di Mausoleum si rispecchia il volto del poeta. Come avviene proprio col terribile e cinico segretario fiorentino, che di sera entra nelle vite degli uomini antichi, che di notte scrive sonetti d’amore. «Niccolò, fratello»...

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