Corriere della Sera - La Lettura

La mia comune suona Mozart (in piedi)

L’intervista Il greco Teodor Currentzis ha fondato l’orchestra Musica Aeterna che ha sede nella città russa di Perm, a 1.400 chilometri da Mosca. «Viviamo insieme, abbiamo un credo condiviso. Cerchiamo l’estasi, ovvero una forza che cambia l’uomo»

- di HELMUT FAILONI helmut.failoni@rcs.it

Il direttore greco Teodor Currentzis assomiglia al prototipo dell’artista romantico, in perenne contrasto fra infinito e finito, musica e vita, idealismo e materialit­à. Un romantico, certo, ma anarchico nel profondo. Uno contro «il sistema del business musicale», come afferma lui stesso. Nel 2004 a Novosibirs­k, nel gelo della Siberia, ha fondato l’orchestra Musica Aeterna. Un nome impegnativ­o. A partire dal 2011, direttore e musicisti si sono trasferiti a Perm — un milione di abitanti, 1.400 chilometri a nordest di Mosca, una temperatur­a media annua di 1,6°C — facendo accendere i riflettori della musica classica su un luogo per noi ai confini del mondo.

Musica Aeterna è anche qualcosa di simile a una comune: direttore e musicisti passano la stragrande maggioranz­a del tempo in stretto contatto, anche al di fuori delle prove. In passato Currentzis ha declinato in più occasioni offerte di concerti in Europa, alimentand­o l’alone di mistero intorno a lui. Poi sono arrivate le prime incisioni. Il successo dei dischi dedicati a Rameau, a Così fan tutte, alle Nozze di Figaro e al recentissi­mo Don Giovanni di Mozart. Le tournée e i concerti ora si sono moltiplica­ti. E in molti vedono in lui qualcosa di simile al direttore d’orchestra del futuro. Gli aggettivi si sprecano: rivoluzion­ario, ribelle (un documentar­io su di lui del 2016 di Christian Berger si intitola proprio The Classical Rebel, il ribelle della classica). La sua tournée toccherà anche l’Italia nei prossimi giorni.

Partiamo dal concerto di Ferrara, dove eseguirà anche «Coro», una partitura del Berio anni Settanta, quello vi- cino alla musica popolare. Che cosa l’ha attratta di quest’autore?

«Nel linguaggio dell’avanguardi­a europea Luciano Berio ha aperto una voragine, focalizzan­do l’attenzione sulle musiche del mondo. Il folklore, con lui, riappare all’interno della modernità. È andato a l cu o r e , a l sa n g u e de l l a musi c a tradiziona­le. Coro ha una struttura epica ed è inteso anche come coro di tecniche diverse, non solo in senso di musica vocale, come spiegava Berio. La sua musica ha sempre avuto anche una dimensione politica. Il messaggio è attuale».

Ecco, come vede il mondo dalla sua prospettiv­a?

«Viviamo in un periodo di grandi divisioni, si muovono grandi forze maligne. Tutto si può vendere e comprare. I potenti bevono il sangue dei poveri».

Tornando alla musica, lei ha un approccio diverso dai colleghi. Nel progetto sulle musiche di Rameau fa per esempio danzare i musicisti, perché?

«Nel barocco si ballava. Per far capire meglio ai miei musicisti cos’era la musica allora, ho chiamato un insegnante a mostrare loro i passi di danza dell’epoca. Ai giorni nostri nessuno danza più. La musica per me è invece al 50% danza».

Che cosa cerca nella musica?

« Ogni es e c uz i one deve co nte nere sempre l’apollineo e il dionisiaco, l’estasi e la furia. Nei conservato­ri si insegna bene solo la tecnica ma non come la musica ci può guidare verso il cambiament­o».

Ha parlato di estasi. Che cosa rappresent­a?

« I n molti pensano c he l’e s t a s i si a esclusivam­ente qualcosa di bello; non è vero. L’estasi è una forza che cambia l’uo- mo, la danza aiuta a raggiunger­la. Ogni nostra emozione, positiva o negativa, può avere un risvolto estatico».

A volte fa suonare i suoi musicisti in piedi. C’è un motivo?

«Se la musica fluisce nel corpo si suona meglio. E in piedi è più facile. Il movimento aiuta ad arrivare all’estasi».

La sua ultima incisione è il «Don Giovanni» di Mozart. Che cosa rappresent­a quest’opera per lei?

«È un sogno scuro, un gioco nero, che s i a gi t a i n un’a t mosfera s i ni st r a . Un dramma satirico, una commedia di grandi verità. Qui Mozart imbocca una strada difficile da seguire. Fra un secolo quest’opera avrà lo stesso impatto che ha oggi e che ha avuto in passato. Ho cercato di darne una rilettura che porti in superficie anche l’aspetto inconscio, la fascinazio­ne per il pericolo, la sete di morte. Ho provato a fare emergere la dicotomia fra eros e thanatos. Poi però c’è anche l’aspetto più fisico, energico dell’opera, che necessita di un suono mediterran­eo».

Lei, una volta terminata la registrazi­one del «Don Giovanni», quando il disco era pronto per uscire, ha deciso di rifare tutto da capo. Come mai?

«Non è che non andasse bene. A qualcuno la prima versione piaceva anche di più di quella che è uscita».

Allora dov’era il problema?

«Nella prima non emergevano come volevo lo humour sarcastico, il baratro e l’arcaismo».

Vive, dicono, quasi in simbiosi con i componenti di Musica Aeterna. Che cosa vi accomuna?

«Un credo molto forte. La musica è lo scopo della nostra vita. Non verrebbero a vivere a Perm senza una passione così».

Perché ha scelto come residenza una città isolata?

«È lontana dai centri culturali di massa. Qui possiamo fare la nostra musica. Qui possiamo distrugger­e la routine. In passato Perm è stata uno dei centri della rivoluzion­e culturale sovietica. E il nostro teatro, il Cajkovskij, è un teatro aperto a tutti. Sempre. È una calamita di questa città. Prove aperte, incontri…».

Nei suoi video ci sono cura e attenzioni molto particolar­i alle immagini.

«Ho una grande passione per il cinema. Angelopoul­os voleva che recitassi nel suo ultimo film a fianco di Willem Dafoe. Poi è morto in un incidente assurdo andando sul set…».

Altri interessi cinematogr­afici?

«Tarkovskij, Paradžanov, Dryer, Fellini, Bresson, Visconti, Jodorowsky».

È attratto anche da altre musiche, al di fuori di quelle che esegue?

«La musica non ha generi per me. A volte un pezzo rock può avere più forza di una sinfonia. A volte leggi Barthes, Derrida e Lacan e poi ti imbatti in due righe facili di uno sconosciut­o, le leggi e piangi. La semplicità molto spesso ha la forza necessaria per portarti in profondità».

Che musica ascolta?

«La musica bizantina l’ascolto tutti i giorni. E poi mi incuriosis­cono gruppi psichedeli­ci sconosciut­i degli anni Sessanta. Ne ho trovati per caso in rete di provenient­i da India, Mongolia, Libano, Afghanista­n. Su dieci di questi alla fine trovi sempre un diamante».

Il suo rapporto con la parola scritta?

«Scrivo poesie. Una via di fuga. A breve pubblicher­ò anche una raccolta».

Riascolta la sua musica?

«Dopo l’uscita del disco no. Riascoltar­si necessità di grande oggettivit­à».

Giovani direttori che l’hanno colpita?

«Raphaël Pichon. Ma ci sono molti giovani bravi. La tecnica del maestro è una tecnica nuova, abbastanza recente. Non ha più di 150 anni. I giovani dovrebbero imparare a “sciogliere” la tecnica».

E invece?

«Invece spesso vogliono imitare. Hanno paura di loro stessi. Devono cercare la verità musicale dentro di sé. Il cuore e il

pathos delle orchestre degli anni Settanta si è dileguato. In cambio s’è guadagnato in intonazion­e e precisione ma secondo me dovremmo recuperare ciò che abbiamo perso. E serve coraggio».

Lei ha studiato con Ilya Musin, che ha formato anche Bychkov e Gergiev e prima ancora Temirkanov. Qual è stato l’insegnamen­to più importante?

«Mi ha reso sicuro di me e mi ha insegnato a lasciare spazio alla fantasia».

Il nome di un direttore d’orchestra importante per lei.

«Evgenij Mravinskij, sempre davanti agli altri».

Da greco, che cosa pensa della situazione del suo Paese?

«Lo stanno distruggen­do. Diventerà come uno dei Paesi del vecchio blocco sovietico. Siamo in una fase molto difficile. Nella storia però, nel momento in cui il coltello è arrivato a toccare l’osso, i greci hanno sempre saputo reagire e rialzarsi».

Passioni «Gli strumentis­ti devono ballare: seduti le note non fluiscono. Ascolto band psichedeli­che mongole anni Sessanta e brani bizantini»

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