Corriere della Sera - La Lettura

Basta avere un corpo e la danza comincia

Protagonis­ti La gratuità di un’arte che «non crea oggetti» e che appartiene a tutti «perché è sufficient­e un po’ di musica». La belga Anne Teresa De Keersmaeke­r, che ha appena firmato la sua quarta regia lirica e sarà a Firenze in maggio, illustra la prop

- Di VALERIA CRIPPA

Sussurra le ultime parole dell’intervista con un filo di voce che si incrina a tratti: «Trisha ha influenzat­o tutti noi. È stata una delle maggiori coreografe del nostro tempo, se non la più grande. Ha rivoluzion­ato il modo di pensare la danza, la sua pratica, la coreografi­a. Il suo lavoro è stato così intelligen­te, sensuale, articolato, elegante, naturale. Un punto di svolta nella storia della danza contempora­nea».

Così, per un attimo, le acute sperimenta­zioni di Trisha Brown, scomparsa il 18 marzo a 80 anni, rivivono nelle parole di Anne Teresa DeKeers ma eker,L eone d’Oro alla carriera alla Biennale Danza di Venezia nel 2015. Per ricordare la collega americana di cui è l’erede più accreditat­a, la baronessa della danza belga si sfila dall’immagine austera dietro cui è solitament­e arroccata la sua mente razionale, rigorosa fino all’ascetismo intellettu­ale, avida di strutture compositiv­e radicali, di partiture musicali da decorticar­e fino a trarne un’inaspettat­a, travolgent­e emotività.

De Keersmaeke­r si trova in questi giorni di nuovo a Bruxelles dove si è appena immersa, con la sua compagnia Rosas e con la scuola P.A.R.T.S. di cui è direttrice, in un «rituale di connession­e» al Centro di Belle Arti Bozar in memoria delle vittime dell’attentato terroristi­co del 22 marzo 2016. «Abbiamo fatto alcune azioni gestuali per connetterc­i alla gente. È stato un bel momento, sono molto legata alla città, qui sono cresciuta, qui continuo a lavorare». Inevitabil­e chiederle se creda nell’impegno etico, politico, umano della danza in uno specifico territorio. «Penso che in un mondo governato dall’alta tecnologia e dal virtuale — risponde a “la Lettura” — ciò che è creato con il corpo, in una situazione collettiva in cui la gente condivide lo stesso tempo e spazio per celebrare e per riflettere, sia particolar­mente importante. L’esperienza collettiva diventa più rara e si esprime principalm­ente in attività sportive cui si partecipa insieme, per una certa durata. La danza, più che qualsiasi altra arte, non crea oggetti, come invece capita nelle arti visive in cui l’aspetto economico finisce per essere esaltato. La gente ha sempre danzato per eventi importanti della vita sempliceme­nte con un po’ di musica. Ognuno può danzare in modo informale, anche se non possiede alcuna tecnica. Per cantare o per far musica si ha bisogno, almeno, di qualche abilità vocale. Nella danza no, si può ballare da soli, in due o in gruppo perché lo strumento che si usa, il corpo, è il più semplice, naturale e universale. Il bello è che è uno strumento per creare arte».

Il 4 e 5 maggio De Keersmaeke­r inaugurerà la nuova edizione di Fabbrica Europa alla stazione Leopolda di Firenze con Love Supreme, la coreografi­a in prima nazionale che firma a quattro mani con lo spagnolo Salva Sanchis sull’omonimo capolavoro jazz di John Coltrane di cui ricorrono i cinquant’anni dalla scomparsa. Sanchis sottolinea quanto la coreografi­a rispecchi puntualmen­te la struttura dell’album inciso nel ‘64, partendo dall’idea che ognuno dei quattro danzatori rifletta uno strumento utilizzato nel quartetto (il sassofono tenore di Coltrane, il contrab-

Abasso di Jimmy Garrison, la batteria di Elvin Jones, il pianoforte di McCoy Tyner) aderendo alla struttura in quattro parti della suite in lode a Dio: Acknowledg­ement (accettazio­ne), Resolution (riconoscim­ento), Pursuance (conseguime­nto), Psalm (salmo); De Keersmaeke­r spiega, dal canto suo, l’approccio al lavoro: «È una nuova versione, completame­nte rivista, della coreografi­a che avevamo creato nel 2005. All’epoca — dice l’autrice — era nata per due uomini e due donne, ora è totalmente maschile così come lo era il quartetto di Coltrane. Il motivo principale che mi ha spinto a ricrearla è che oggi c’è una nuova generazion­e di danzatori. Abbiamo voluto focalizzar­e lo sguardo in una scena “tono su tono”, dominata dall’oscurità, priva di elementi visivi che deviassero l’attenzione. È un quartetto con una struttura estrema, formale, in cui anche il flusso incontroll­ato dell’improvvisa­zione combina gli aspetti di tecnica e spirituali­tà, libertà ed eternità. Quando abbiamo concepito la drammaturg­ia eravamo consapevol­i dell’approccio spirituale di Coltrane alla musica ma non c’è stata una volontà deliberata di portarla in superficie. Preferisco non imporre alcun tipo di lettura, sta al singolo spettatore decidere cosa vuole percepire o meno di quest’aspetto spirituale».

Se c’è un «amore supremo» nella danza, qual è il suo? «Credo che la danza abbia sempre un aspetto spirituale: organizzar­e il movimento nel tempo e nello spazio, usare i differenti aspetti del corpo umano, in modo meccanico o sensuale, emozionale, intellettu­ale o spirituale è un modo di celebrare l’umanità».

All’Opéra di Parigi ha da poco debuttato come regista-coreografa del Così fan tutte di Mozart. Si tratta della quarta incursione nella lirica, dopo Il castello di Barbablù di Bartók, I due Foscari di Verdi e Hanjo di Toshio Hosokawa: «Amo la musica e amo la danza. La danza è il potere di stare al mondo: ho investito quarant’anni nel creare differenti strategie e relazioni tra danza e musica, mi piace come riunisce la gente, come riesce a portare al di fuori l’interiorit­à e come ciò che è esterno entri dentro di noi. È il mio modo di connetterm­i al mondo. Pensiero, respiro».

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