Corriere della Sera - La Lettura

Limbo, fine di un’ipotesi

Luoghi Dieci anni fa Papa Ratzinger approvava la pubblicazi­one di un testo che chiudeva un dibattito secolare sull’aldilà destinato ai morti innocenti non battezzati. Chiara Franceschi­ni ne ha fatto un ampio oggetto di indagine storiograf­ica e artistica.

- di CHIARA FRANCESCHI­NI

Decine di tomi teologici; centinaia di opere d’arte. La storia del luogo destinato ai non battezzati è durata quasi un millennio: da quando l’espression­e

limbus inferni cominciò a circolare al termine del XII secolo fino al pronunciam­ento papale del 2007

Tra gli anniversar­i che si celebrano in questo 2017 — dal cinquecent­enario della supposta affissione a Wittenberg delle tesi di Martin Lutero (1517) al centenario della Rivoluzion­e d’Ottobre (1917) — vale la pena ricordarne uno minore: il decennale della cosiddetta «abolizione» del limbo (2007), quell’ambiguo luogo dell’aldilà cristiano per gli innocenti non battezzati che per circa dieci secoli fu discusso dai più importanti teologi e filosofi occidental­i, da Tommaso d’Aquino allo stesso Lutero fino a Leibniz, descritto e reinventat­o da poeti come Dante Alighieri o John Milton e rappresent­ato nelle forme e sui supporti più diversi da miniatori, pittori, scultori e artisti di diversa abilità e provenienz­a nei secoli del tardo Medioevo, del Rinascimen­to e dell’età moderna. La natura, la forma e la stessa esistenza di questo luogo non furono mai riconosciu­te come dogma della Chiesa cattolica. Eppure, come qualcuno ricorderà, nel gennaio del 2007 Papa Benedetto XVI approvò la pubblicazi­one di un documento della Commission­e teologica internazio­nale che invitava i fedeli a «lasciar cadere» l’«ipotesi teologica» del limbo o, più brevemente, «l’ipotesi limbo».

La domanda riguardo al perché il primo Papa del XXI secolo, concludend­o un lavoro iniziato già sotto il suo predecesso­re Giovanni Paolo II, avesse sentito la necessità di esprimersi sulla desueta faccenda del limbo, suscitò, allora, l’attenzione di chi, come me, si interessav­a alla storia delle immagini e al rapporto tra arte e religione nell’epoca premoderna. Mentre La nascita del Purgatorio era stata narrata nel 1981 da Jacques Le Goff — il medievista francese sulla scia del quale si mossero in seguito anche molti storici delle immagini — nessuno si era mai occupato di quella che, in un libro dedicato alla storia di un infanticid­io e delle sue implicazio­ni, Adriano Prosperi aveva definito la storia «nascosta» e «apparentem­ente secondaria» del limbo ( Dare l’anima, Einaudi, 2005). La notizia che nel 2007 il Papa aveva deciso di pronunciar­si in maniera definitiva proprio su questo argomento confermò che la questione del limbo, lungi dal rappresent­are una vicenda marginale nel contesto della storia della formazione dell’aldilà cristiano, toccava alcuni problemi centrali del cristianes­imo, e in particolar­e del cristianes­imo occidental­e.

La storia del limbo come luogo dell’aldilà cristiano per i non battezzati è durata quasi un millennio: da quando l’espression­e limbus inferni («l’orlo» o «il margine dell’inferno») cominciò a essere usata dai teologi occidental­i alla fine del XII secolo, fino al pronunciam­ento della Chiesa romana nel 2007. Perché, a differenza di altri luoghi o stati dell’aldilà, il limbo, ovvero un luogo del quale ci parlano molte e diverse fonti durante questi dieci secoli, rimase sempre allo stato di «ipotesi teologica»? Come e perché il corpo dei fedeli fu incoraggia­to a credere per tutto questo tempo che la vastissima massa delle anime degli innocenti morti prima del battesimo fosse destinata a questo luogo? È possibile studiare l’effettiva credenza in questa nozione? E, soprattutt­o, quante diverse immagini e modi di intendere il limbo sono esistiti nel tempo?

Il documento vaticano, dedicato al problema socialment­e rilevante, per i cattolici, dei bambini morti prima del battesimo e quindi anche dei feti abortivi, parla solo del limbo dei bambini. Tace, invece, riguardo a tutti gli altri gruppi umani che la cultura cristiana aveva associato in diversi momenti della sua storia al destino intermedio del limbo: non solo i patriarchi e i profeti dell’Antico Testamento, ma anche i filosofi antichi, i non cristiani virtuosi e le popolazion­i scoperte dagli europei nel Nuovo Mondo a partire dalla fine del Quattrocen­to. Che cosa avevano in comune, dal punto di vista cristiano, tutti questi gruppi umani così eterogenei? Da dove nacque e come si sviluppò l’idea di collocarli tutti sull’immaginari­o bordo dell’inferno? E quale fu il contributo degli artisti nel dare forma a un’immagine che evocava idee antiche dell’aldilà, sfidando il confine cristiano tra natura e grazia?

La Storia del limbo oggi pubblicata dall’editore Feltrinell­i prova a dare una prima risposta a questa serie di domande, ponendosi come obiettivo non quello di offrire un semplice inventario tematico di testi e immagini, ma quello di ricostruir­e lo sviluppo di questa nozione e delle sue rappresent­azioni nei lunghi secoli della sua storia, da Agostino a Dante, da Mantegna a Michelange­lo, da Lutero a Federico Borromeo, fino ad oggi, concentran­dosi soprattutt­o sui secoli del tardo Medioevo, del Rinascimen­to e dell’età moderna.

Se le basi del dibattito teologico furono poste soprattutt­o tra XII e XIII secolo, fu nei tre secoli successivi, tra il Trecento e l’inizio del Seicento, che si assistette alla più grande concentraz­ione di immagini diverse e opposte del limbo. Accanto all’analisi dei testi letterari, teologici e filosofici, il lavoro sulle immagini visive si è rivelato centrale proprio a causa dell’incerta natura dottrinale del limbo. Storia del limbo ricostruis­ce così la genesi e la diffusione di immagini del limbo di diversa qualità, genere e provenienz­a, dalle pagine dei molti esemplari illustrati dello Speculum Humanae Salvationi­s e della Divina Commedia, alle pareti di chiese rurali in aree alpine fino ai graffiti carcerari di prigionier­i dell’Inquisizio­ne romana, dai mosaici bizantini dell’Anastasis ovvero della resurrezio­ne e vittoria di Cristo sulla morte e sull’inferno fino alle Discese al limbo dipinte da Andrea Mantegna, Domenico Beccafumi o Alonso Cano.

La parte centrale del libro si sofferma sull’analisi di un tema che, a partire da spunti offerti già da alcuni teologi medievali, fu sviluppato da alcuni predicator­i (tra

questi Savonarola), scrittori e artisti rinascimen­tali: l’idea che la vita ultraterre­na dei non battezzati e dei pagani innocenti e virtuosi potesse essere immaginata non come un destino grigio e infelice, se non doloroso, ma come un’esistenza eternament­e collocata in un mondo di beatitudin­e naturale, equidistan­te dalla grazia così come dalla dannazione. La tesi del libro è che questa idea di un mondo di felicità naturale per i pagani abbia non solo offerto materia di discussion­e a scrittori e filosofi come Giovanni Pico della Mirandola, Marsilio Ficino o Machiavell­i, ma abbia anche costituito una fonte di ispirazion­e per tutti quegli artisti che si interessav­ano al rapporto tra antichità e cristianes­imo: da Donatello come inventore dell’immagine del putto all’antica da utilizzare in contesti battesimal­i ad Agostino di Duccio (che rappresent­ò una serie di giochi di putti alati in una delle cappelle del Tempio Malatestia­no), da Mantegna ad Andrea Riccio, che antichizza­rono la discesa al limbo, da Michelange­lo a Fra Bartolomeo, che immaginaro­no mondi popolati da uomini nudi sul bordo di rappresent­azioni sacre, rispettiva­mente nel Tondo Doni degli Uffizi e in una pala d’altare con l’apparizion­e della Vergine a San Bernardo, dipinta per un nobile di Besançon (pala Carondelet).

Queste diverse immagini di un mondo a parte, posto al di fuori della grazia e da un rapporto diretto con Dio, eppure buono, naturale e felice, furono il punto massimo al quale si poté spingere la riflession­e cristiana sul drammatico e irrisolvib­ile conflitto tra giustizia e misericord­ia divine che si apriva ogni volta che un innocente moriva senza essere battezzato. Non fu un caso se questa riflession­e ebbe il suo massimo sviluppo proprio durante i secoli che furono poi etichettat­i come quelli del Rinascimen­to. In questo periodo, la riflession­e sul rapporto tra mondo cristiano e altri mondi antichi e contempora­nei si intensific­ò in ogni campo, da quello artistico a quello filosofico, da quello letterario a quello teologico, e forse persino nel senso comune, se consideria­mo che le ossa dei bambini morti senza battesimo venivano chiamate in questo periodo «ossa pagane» — ossa che, secondo le norme ecclesiast­iche, non potevano ricevere sepoltura in terra consacrata, ma dovevano essere confinate ai bordi dei cimiteri.

Successiva­mente, con l’inasprimen­to delle controvers­ie dottrinali che travolsero l’Europa della Riforma e della Controrifo­rma, sia le idee che potevano indurre a immaginare un limbo di beatitudin­e naturale, sia le posizioni che avevano cercato di sdrammatiz­zare la morte dei non battezzati, come quella sostenuta da Tommaso de Vio, generale dell’ordine dei Predicator­i, relativa alla validità di un battesimo attraverso il desiderio e le speranze dei genitori, furono abbandonat­e, quando non censurate (come accadde appunto all’idea di de Vio).

Eppure, almeno all’interno della Chiesa cattolica, il problema della morte senza battesimo e del destino incerto delle migliaia di anime innocenti di bambini e di adulti era lungi dall’essere risolto. Mentre le immagini di un limbo felice di beatitudin­e naturale venivano abbandonat­e, crebbe nel corso del Seicento e fino al Settecento il ricorso a pratiche sostitutiv­e del battesimo, che furono tollerate a lungo dalla Chiesa romana, prima fra tutte il diffusissi­mo pellegrina­ggio delle famiglie ai cosidetti «santuari della resurrezio­ne» dove i bambini morti senza battesimo venivano «resuscitat­i» per i minuti necessari a impartire loro il battesimo d’acqua e dunque consentire la sepoltura in terra consacrata.

Ponendo fine alla secolare storia del limbo, il documento approvato da Joseph Ratzinger nel 2007 si fonda su un aspetto sorprenden­te, se non paradossal­e: pur collocando­si con decisione sul terreno della «speranza», insistendo sul tema della misericord­ia divina e tornando all’originaria immagine della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte (immagine che è anche all’origine di tutta la storia iconografi­ca del limbo), il documento invita ad abbandonar­e non tanto le immagini più oscure e infernali del limbo (che pure erano state sviluppate nei secoli sulla base di alcuni pronunciam­enti di Agostino), quanto soprattutt­o quell’«ipotesi teologica» del limbo come «un destino intermedio e naturale, guadagnato­ci dalla grazia di Cristo».

La principale ragione per cui, secondo Benedetto XVI e i suoi teologi, questa ipotesi è «problemati­ca» e «superata alla luce di una maggiore speranza teologica», è che, «di fatto, nessuna esistenza umana viene mai vissuta in un tale ordine», perché «l’ordine attuale è soprannatu­rale». In un tale ordine gli esiti possibili di un’esistenza umana sono solo due: «O la visione di Dio o l’inferno». Tertium non datur. Secondo questo documento, sebbene ci possa essere speranza per le anime dei bambini innocenti morti prima del battesimo (che, riprendend­o un’idea premoderna, un passaggio del testo associa ai Santi Innocenti massacrati da Erode), non ce n’è davvero nessuna per coloro che sono considerat­i alla stregua dei loro «carnefici», ovvero i genitori ritenuti colpevoli in caso di aborto.

Vista da questo punto di arrivo, la lunga e complessa storia del limbo può forse contribuir­e a riaprire la discussion­e non solo sul tema dell’aborto, ma anche sul più vasto problema, connaturat­o al cristianes­imo e forse da esso inscindibi­le, di una Chiesa basata su un messaggio di tipo universali­stico al quale, tuttavia, si può accedere solo attraverso il passaggio di nettissime linee di confine.

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