Corriere della Sera - La Lettura
Valori (e popoli) in via d’estinzione
Tra i concetti in via d’estinzione, la speranza è il più restio ad abbandonare il campo, coerentemente con il motto popolare che la speranza è l’ultima a morire. Resiste, poiché la sua resa significherebbe l’annullamento di ogni prospettiva futura, sacrificata sull’altare dell’emergenza continua. Accorciare il futuro, atrofizzarlo nell’inaridirsi di ogni progetto, è letale per quest’ultima dea, dimenticata sul fondo del vaso di Pandora a consolare gli uomini ossessionati dalla paura e a farli sognare.
Paura e speranza sono sempre state legate: per vincere la paura e sopportarne le conseguenze, si spera. Per Seneca la paura segue la speranza ( spem metus sequitur) e Baruch Spinoza, agli albori della modernità, vede il popolo riunirsi sotto un unico sovrano «più per speranza che per paura» ( maiori spe quam metu). La costruzione della modernità avviene facendone il volano della società e recuperando in chiave laica l’idea cristiana della speranza di salvezza.
L’attribuzione di un senso profano alla speranza, cogliendo un aspetto culturale già sedimentato nelle coscienze, è una delle ragioni del rapido successo dell’etica borghese, innestata su un corpus già esistente, dove l’affiancamento alla tecnica tende a sostituire la paura religiosa con la paura più concreta per la macchina.
Il più grande inno alla speranza è stato elevato da Ernst Bloch con Il principio speranza, un’opera colossale di oltre 1.600 pagine, l’ultima occasione della modernità di esprimersi al suo meglio prima del declino. È un’ope- ra ottimista; di quell’ottimismo della volontà che deriva dalla fede ideologica. Bloch, che aveva accolto con perplessità gli esiti della rivoluzione bolscevica, scende in campo con questo lavoro della maturità, scritto tra il 1938 e il 1959, che risente dell’impronta del «socialismo reale» nel periodo stalinista. La speranza che scaturisce da questa energica visione del mondo con ambizioni totalizzanti è progressista e fiduciosa nella vittoria di un socialismo umanitario. Bloch non coniuga paura e speranza; la paura appare superata o, meglio, rimossa dalla coscienza.
Tuttavia quelle certezze, così faticosamente ricostruite con la costanza della ragione, sono tornate a disperdersi con la crisi della modernità. Ora la speranza si è arresa, non guarda più lontano; così la paura trionfa e con la paura l’individuo torna a preoccuparsi della propria sopravvivenza, egoisticamente. Un’ansia che spinge a bruciare tutto subito, senza progettare, senza investire, senza attendere.
La speranza è inattuale perché più nessuno vuole aspettare. Siamo di fronte al crollo di tutte le virtù civili legate alle aspettative sociali: la fiducia, la pazienza, la responsabilità. Tutte intimamente collegate alla speranza e inevitabilmente destinate a declinare, superate dalla fretta di vivere (avere, riuscire, consumare, godere) che impone ritmi innaturali.
Questo rapido mutamento di passo, accelerando i processi economici, le relazioni personali e le comunicazioni, ha dato l’impressione di una «liquidità» sociale, che è invece l’effetto di una velocizzazione forsennata senza neppure il tempo di riflettere. In attesa che il cervello umano si adegui alla nuova modalità, la speranza resta seduta, le ali piegate, come nell’immagine fissata da Andrea Pisano sulle porte del Battistero di Firenze: stanca di aspettare, le braccia alzate nel vano tentativo di fermare il tempo che le sfugge.