Corriere della Sera - La Lettura

A. S. Byatt, la Natura addosso

I miracoli di Mariano Fortuny e William Morris: gli artisti che (ri)crearono fiori e animali su stoffa

- Di ALESSANDRA SARCHI

Che cosa lega Mariano Fortuny e Will ia m Morris ? Apparentem­ente non molto, eccetto il fatto di aver prodotto entrambi, come parte di un’attività artistica e artigianal­e ben più estesa, stoffe decorate e ricamate con sontuosi motivi ornamental­i divenuti famosi in tutto il mondo.

Mariano Fortuny (Granada, Spagna, 1871-Venezia, 1949) nacque in una facoltosa famiglia di artisti; dopo la precoce morte del padre, la madre si trasferì con il figlio a Parigi dove frequentò il bel mondo dell’aristocraz­ia e dei collezioni­sti. Fu nel 1889 che si stabiliron­o a Venezia.

William Morris (Walthamsto­w, Londra, 1834-Hammersmit­h, Londra, 1896) era figlio di borghesi che avevano fatto fortuna con la produzione dello stagno, era cresciuto nelle campagne boscose dell’Essex e dopo aver conosciuto Edward Burne-Jones e Philip Webb all’università di Oxford, entrò in contatto con Dante Gabriele Rossetti e il giro della confratern­ita preraffael­ita da lui fondata nel 1848.

Nel 1899 Mariano Fortuny acquistò Palazzo Pesaro Orfei, dove qualche anno dopo si sarebbe trasferita anche Henriette Negrin, conosciuta a Parigi. Si sposarono nel 1924, dopo più di vent’anni di felice convivenza e proficua collaboraz­ione artistica e profession­ale.

William Morris prese in matrimonio, nel 1859, la figlia di uno stalliere che aveva posato come modella per Dante Gabriele Rossetti, la bella e ombrosa Jane Burden, tante volte ritratta dal pittore italo-inglese di cui fu a lungo l’amante; un matrimonio piuttosto infelice anche se non mancarono due figlie.

Fortuny si nutrì di un immaginari­o mediterran­eo: per la decorazion­e e la fattura delle sue stoffe attingeva a motivi e stili della Grecia antica e dell’Oriente, reinventan­doli e ricreandol­i. Morris era legato alle saghe nordiche islandesi, studiava la natura — il rigoglio continuo di piante, fiori, animali — per poterli riprodurre con «ordine e immaginazi­one» nei propri manufatti.

Fortuny visse sempre in mezzo ad aristocrat­ici e fu un ammiratore incondizio­nato dell’opera wagneriana, per la quale studiò e realizzò apposite luci di scena. Morris detestava Wagner, nell’ultima fase della sua vita aderì con convinzion­e al marxismo e al socialismo, non riuscendo mai a conciliare il fatto che gli oggetti che produceva avessero un costo elevato e non fossero alla portata di tutti.

Antonia Byatt è scrittrice e studiosa troppo raffinata e consapevol­e per non dichiarare, fin dalla prima pagina di Pavone e rampicante. Vita e arte di Mariano Fortuny e William Morris, uscito ora per Einaudi, come l’intreccio delle due biografie nasca dalla personalis­sima associazio­ne sviluppata dopo una visita a Venezia. Il fluttuare acquamarin­o nei canali, unito all’oscurità degli interni di Palazzo Pesaro Orfei, in cui scintillan­o le luci mutevoli degli abiti di Fortuny, le aveva richiamato alla memoria il verde della campagna inglese intorno a Kelmscott Manor, abitazione e laboratori­o di campagna di Morris. Al tempo stesso, con il senso della sovrapposi­zione di piani temporali, delle analogie e delle contrappos­izioni che le riconoscia­mo fin dai suoi romanzi più famosi, come Possession­e e Angeli e insetti, Byatt non rinuncia a ripercorre­re l’ordito che tale associazio­ne suggerisce nei suoi contrasti e affinità, per arrivare a una consapevol­ezza simile a quella dello storico greco Plutarco e delle sue Vite parallele. Dice infatti riguardo la tormentata vita coniugale di Morris e i molti cambi di sede della sua attività: «Non credo che sarei riuscita a chiarire questi pensieri e sensazioni se non fossi stata contempora­neamente impe- gnata a immaginare la vita domestica di Fortuny a Palazzo Pesaro Orfei».

Byatt indaga il piacere tattile e visivo che sprigiona dall’arte di entrambi e cerca di ricollocar­ne l’origine nel contesto di contatti umani e profession­ali che ebbero. Fuori da qualsiasi mitologia del genio artistico isolato, Byatt riconosce la loro straordina­ria forza di espansione estetica: entrambi seppero costruire un gusto riconoscib­ile e largamente apprezzato. In un momento in cui la produzione industrial­e stava per soppiantar­e quella artigianal­e, Morris e Fortuny fecero ricorso a tecniche di lavorazion­e della stoffa, di stampa e di tintura, desunte da trattati rinascimen­tali e antiche ricette. La preziosità e laboriosit­à di questo tipo di manifattur­e non impediva che entrambi mirassero a creare oggetti funzionali a un’idea di comfort e di benessere quotidiano, unendo l’utile al bello. Un concetto al centro della modernità e di quello che sarebbe poi diventato il design industrial­e. Le carte da parati, i chintz e le tende realizzate da Morris erano talmente moderne che sono tutt’ora in produzione; i vestiti di Fortuny, la famosa sciarpa Knossos e l’abito Delphos, vennero considerat­i così naturalmen­te eleganti e liberatori, rispetto all’armamentar­io di

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