Corriere della Sera - La Lettura

I versi danno fastidio. Ma hanno senso

Il filosofo Jean-Luc Nancy riflette sul significat­o della parola che merita ascolto

- Di DANIELE PICCINI

Pensare la poesia: è quanto si propone Jean-Luc Nancy — il filosofo francese autore tra l’altro de Le Muse — in due testi degli anni Novanta, ora riuniti in un volumetto intitolato La custodia del senso. Necessità e resistenza della poesia (a cura di Roberto Maier, Edizioni Dehoniane Bologna). Uno dei due scritti è un breve e denso saggio ( Fare la poesia) pubblicato originaria­mente nel 1996, l’altro è un dialogo con Pierre Alféri, figlio di Jacques Derrida, edito per la prima volta nel 1995 ( Fare i conti con la poesia).

Si direbbe che Nancy muova da una sorta di bando toccato alla poesia, quasi da una sua rimozione, per tornare a dichiararn­e la necessità. Per farlo egli assomma e include nel suo discorso le possibili negazioni della poesia, attraversa­ndo Bataille e Adorno. E suggerisce un’idea di poesia che nella sua altezza e decisività si pone al punto di incontro e insieme di separazion­e tra le arti. Non solo. È posta come questione nodale la relazione, tutt’altro che pacificata, della poesia con la filosofia: «La filosofia riconosce la poesia (e talvolta la religione) come una via alternativ­a. […] La poesia, invece, non restituisc­e il favore. Essa pretende un accesso assoluto ed esclusivo, immediata- mente presente, concreto e in quanto tale insostitui­bile».

Entrambe, a ogni modo, usano la lingua nella sua tensione al senso, al fare senso. Parlando di poesia, Nancy sposta di frequente il punto di osservazio­ne, lasciando intendere che è della poesia in sé e per sé (sia pure nella pluralità delle sue espression­i), cioè dell’idea evocata dalla parola poesia che abbiamo bisogno, al di là delle possibili derive del discorso poetico. In ciò, Nancy può divenire sferzante, esprimendo anche una sorta di rifiuto del poetico come pratica sociale («La questione della poesia […] resiste al nostro fastidio e al nostro più forte disgusto nei confronti di tutte le menzogne poetiche, le leziosità e le sublimità»). Ma, appunto, tutto il possibile «fastidio» è evocato per essere in qualche modo superato, perché ci si possa ancora mettere in ascolto.

Difficile è il discorso della poesia ma è una difficoltà che, avvenendo, cede e produce un accesso al senso: accesso perfetto, in sé compiuto, ogni volta finito e terminato, quindi ogni volta da rifare. È una dizione che «non rimanda al senso come a un contenuto, […] non comunica la verità, ma la fa, essendo esattament­e e letteralme­nte la verità».

Questa possibilit­à di accedere al senso, che si dà sorprenden­temente, è la poesia: di essa, dice Nancy, abbiamo sempre necessità. E osserva: «La poesia fa la facilità del difficile, dell’ assolutame­nte difficile ». Si potrebbe pensare, credo, a Leopardi. E tuttavia Nancy, che indaga l’esattezza della poesia, non indugia in esempi, pur citando vari moderni (tra cui Valéry, Pound, Eliot, Ponge, Celan): pensa la poesia, più che abitarla e attraversa­rla storicamen­te, e si propone soprattutt­o di riconoscer­ne ancora possibile la tensione, che si avvera anche nel singolo verso. Così suggerisce che «nella sua ancestrale sovraperfe­zione», essa, la poesia, se ne sta «in agguato come una bestia, tesa come una molla, e al contempo già in azione».

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