Corriere della Sera - La Lettura

Irregolare è chi non sta al gioco

Villon, Rimbaud. E Penna

- Di ROBERTO GALAVERNI

Che cosa significa essere un irregolare in poesia, vale a dire lì dove ogni cosa è anzitutto misura, tempo ritmato, regolarità? Anche il verso libero risulta sì privo di regole fisse e prestabili­te, ma non certo privo di regole in assoluto. Anzi, proprio la necessità di giustifica­re la parola poetica attraverso la sua regolament­azione intrinseca, come i poeti sanno molto bene, costituisc­e il compito più arduo e insieme il raggiungim­ento davvero qualifican­te. Eppure è altrettant­o certo che non esiste una poesia (e un poeta) che si rispetti, che non sia in qualche modo irregolare. La poesia, perfino quando strumental­mente se ne avvale, nasce contro la convenzion­alità espressiva, la ripetizion­e meccanica, il discorso prevedibil­e e, appunto, la regolarità. Il rapporto, diciamo pure la contraddiz­ione tra regola ed eccezione, che non è mai solo di ordine formale, rappresent­a dunque un problema sempre vivo e aperto, perché riguarda la possibilit­à stessa del discorso poetico. Ogni poeta, pertanto, è chiamato a modo suo a risolverlo.

Chiarito questo, resta pur vero che nella tradizione della poesia alcuni poeti sono stati avvertiti come irregolari per antonomasi­a. Si possono definire anche in modi diversi: eslege, indiscipli­nati, ribelli, non omologabil­i o non catalogabi­li, incendiari, maledetti, borderline e tant’altro. Esistono poeti, come Eliot e Montale, ad esempio, che sembrano nati apposta per conquistar­e il centro del canone, o anche, forse meglio, per riconfigur­arlo a partire dal proprio nome. Altri, invece, nascono per rimanere poi sempre e comunque in aura d’eccezional­ità, di anomalia, di eccentrici­tà. Nella loro vicenda di poesia, insomma, le forze centrifugh­e finiscono per prevalere su quelle centripete. Fanno parte della tradizione, eppure con la tradizione c’entrano più per contrasto o per diversità che per altro. Villon, forse anche il nostro Cavalcanti, poi Lautréamon­t e Rimbaud, ma anche Campana e, più vicino, i poeti della beat generation, sono stati recepiti in qualche modo come scrittori di questa natura. Ma irregolare, ad esempio, si potrebbe considerar­e anche Sandro Penna, che pure — a rimarcare come l’argomentaz­ione tocchi un paradosso che si trova nelle cose — scriveva in una lingua semplice ed elegante, dotata di una specie di suo naturale classicism­o.

In ogni caso, se i primi occupano il centro della scena poetica, i secondi stanno ai suoi margini e, anzi, sono tutti protesi a oltrepassa­rne i confini; se quelli stanno nella poesia o comunque nella letteratur­a come a casa propria, questi ci si trovano invece stretti, tant’è che vorrebbero rompere l’argine della parola, bucare la pagina e uscire nella vita.

Ecco, se si dovesse indicare una specie di denominato­re comune ai cosiddetti irregolari, questo andrebbe probabilme­nte trovato non in una più o meno esplicita sovversion­e formale, bensì, più profondame­nte, nella messa in questione del rapporto obliquo o indiretto tra cose e parole, che è poi il patto stesso su cui si regge la letteratur­a (un patto dovuto anche se «iniquo», come lo ha definito Mario Luzi). Questi poeti, insomma, non stanno al gioco. Nei loro versi la vita batte così forte che il sentimento della sua priorità e dei suoi diritti finisce per ritorcersi contro la stessa poesia, con tutte le conseguenz­e del caso. Come cantarla, come celebrarla, infatti, se le parole possono nascere soltanto sulle ceneri della vita stessa? Nessuno quanto i poeti irregolari, si direbbe, ha avvertito con più forza i limiti della parola poetica. Nessuno ha pagato a prezzo più caro le contraddiz­ioni insite nello scontro con la rappresent­azione formale.

Il discorso contro la letteratur­a, se fatto appunto in termini di espression­e poetica, è destinato comunque a essere sconfitto, anche se, va aggiunto, attraverso il bagliore di fiamme che a volte sembrano inestingui­bili. Lo aveva compreso meglio di chiunque altro Rimbaud, che anche per il suo ripudio della letteratur­a di tutti gli irregolari è divenuto non a caso il padre elettivo. No, la poesia non può «cambiare la vita». Addio, dunque. Anzi, Adieu.

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