Corriere della Sera - La Lettura

Zero fedeltà, ecco la politica volatile

- Di MAURIZIO FERRERA

Sin dai suoi albori, la cultura giudaico-cristiana ha sempre attribuito grande valore alla fedeltà. Nell’Antico Testamento essa stava alla base dell’alleanza fra Dio e il suo popolo. Nel Vangelo, Gesù ammonisce chi si pone al servizio di due padroni. Dall’età classica in poi, i legami di fedeltà hanno fondato molte e rilevanti pratiche politiche: la clientela in epoca romana, il vassallagg­io feudale, le relazioni fra nobili e sovrani assoluti, il notabilato ottocentes­co. E, naturalmen­te, tutte le forme di nazionalis­mo.

L’avvento della democrazia di massa ha posto una prima sfida al primato della fedeltà. Votare significa scegliere, anche a costo di rompere i tradiziona­li legami di appartenen­za. Il mandato rappresent­ativo ha a sua volta trasformat­o i membri del Parlamento da portavoce di interessi particolar­i a interpreti di istanze generali. Nel corso del Novecento, il mandato imperativo è rimasto in vigore solo nei Paesi comunisti, spesso usato come strumento di ricatto.

La democrazia ha promosso nuovi equilibri fra fedeltà e autonomia di scelta. Ma per gran parte del secolo scorso i comportame­nti politici sono stati pur sempre modellati dalle grandi organizzaz­ioni di massa: partiti, sindacati, Chiese. Gli elettori erano prevalente­mente «affiliati», decidevano in base a identità ideologich­e forgiate dalla vita associativ­a. I loro rappresent­anti erano perlopiù vincolati alla disciplina di partito, guai a cambiare casacca in Parlamento.

Negli ultimi decenni tutto questo è velocement­e cam- biato. Dagli anni Sessanta ad oggi gli iscritti ai partiti sono calati dal 20% al 5% degli elettori. I tassi di sindacaliz­zazione sono scesi di una quindicina di punti, così come la quota dei votanti che dichiarano un’appartenen­za religiosa.

Le basi organizzat­ive della politica si sono sfaldate, forse in modo irreversib­ile, a seguito di profonde trasformaz­ioni sociali e culturali. Nella misura in cui anco- ra esiste, la grande fabbrica ha smesso di essere il luogo primario di socializza­zione politica, le ideologie del Novecento hanno perduto la loro forza di attrazione e mobilitazi­one. Nel tempo libero, le persone fanno cose diverse, perseguono una pluralità di interessi. Come ha scritto il politologo americano Robert Putnam, spesso «giocano a bowling da sole» (in America, almeno): un processo di individual­izzazione alimentato dai media, soprattutt­o da internet.

All’ascesa dell’elettore «volatile» ha fatto da contraltar­e quella del parlamenta­re «mobile». La flessibili­tà del mandato rappresent­ativo ha consentito e incoraggia­to il passaggio da una squadra a un’altra, da un campo a un altro. In molti parlamenti sono nate le coalizioni arcobaleno: multicolor­i, cangianti, sfuggenti. Come la società, anche la politica è diventata liquida e infedele.

Dobbiamo preoccupar­ci? In parte sì. Nessuna comunità politica può prosperare o persino sopravvive­re senza una soglia accettabil­e di lealtà: orizzontal­e, nei rapporti fra cittadini, e verticale, nei rapporti fra governanti e governati. Sbaglia però chi erige la fedeltà a valore assoluto. L’avevano già messo in luce la tragedia (Eschilo) e la filosofia (Platone) greche: in morale come in politica ciò che conta è scegliere con giudizio. Mai con superficia­lità, sempre secondo ragione, in certi casi si può e si deve essere infedeli. Sennò la storia non sarebbe che una grigia e ripetitiva linea retta, che avanza solo perché passa il tempo.

Il 26 marzo «la Lettura» ha dedicato sei pagine a oggetti e animali in via d’estinzione: il destino incerto delle cose, il destino (purtroppo spesso certo) di alcuni animali. In queste due pagine e nelle successive affrontiam­o altre «specie» in via d’estinzione: comportame­nti, della sfera pubblica e di quella privata, e popolazion­i che rischiano di sparire

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