Corriere della Sera - La Lettura
Tutti in maschera, la sincerità al museo
Il suo vero nome è Andrea, ma si fa chiamare Julien, si irrita con chi non si attiene alla norma. Sedici anni e indossa lenti a contatto colorate: una gialla e una viola, mai dare riferimenti certi. Estate e inverno, non si stacca mai dal cappotto di pelle. Si ispira a Neo di Matrix, copia Marilyn Manson, la sua regola è: attira l’attenzione, presentati forte. Perché è in psicoterapia? Ce l’hanno mandato i genitori, angosciati dai pensieri di suicidio che hanno letto sul suo diario. In seduta Julien si mostra annoiato, l’idea di avere una parte vulnerabile gli suscita ribrezzo. Alla domanda: «Perché hai bisogno di presentarti così?», la prima risposta è raggelante: «Perché sono un figlio dei tempi, un solitario idolatra trasgressivo». Qualche mese dopo la risposta sarà: «Perché mi sento debole: se guardano quel lato di me, vedono un verme e mi vergogno. La vita ha senso se vinci, senza la maschera sei spacciato». Un segno dei tempi: la menzogna come coperta per la macchia, la vergogna come vera legge del comportamento, la sincerità un’arte da rinchiudere in musei polverosi.
Eppure la bugia nasce con un senso: fonda l’identità. Il bambino che mente sta imparando a tenere il mondo interno libero dall’influenza colonizzante dell’adulto, e a realizzare i propri piani anche in assenza di approvazione. Il bambino che non sa mentire resterà a vita un’appendice non pensante del genitore.
La sincerità, d’altra parte, nel museo ci sta stretta. Dobbiamo sapere a chi credere. La gran parte di quello che i bambini apprenderanno non sarà frutto di esperi- menti in prima persona. Assorbiranno conoscenza trasmessa e quindi l’attendibilità della fonte assume un’importanza tremenda. La capacità di fidarsi è chiamata dallo psicologo e antropologo cognitivo Dan Sperber fiducia epistemica: credere che una persona ci stia fornendo informazione sincera e rilevante. Se tale fiducia è minata, secondo lo psicoanalista Peter Fonagy, si radica la psicopatologia: il mondo diventa pericoloso e confonde, la frattura crepa le relazioni umane. Fiducia epistemica non implica ingenuità, ma sapere a chi credere, quando, e a quali condizioni.
Ha forse ragione Julien? Liberarsi della sincerità è il gesto che segna la nostra epoca? Drammaticamente probabile. Non si pensi alla cosiddetta post-verità, parola di moda che presto non ricorderemo: chi detiene il potere ha sempre divulgato falsità. Di fatto, generare illusioni è un’arte che ultimamente alletta da pazzi.
Il prezzo delle finzioni noi psicoterapeuti lo calcoliamo dai racconti dei nostri pazienti, Julien ha mille fratelli e sorelle. Livia è una trentenne proprietaria di un circolo sportivo. Beve troppo, si sente sola e ha 23 identità sui social, segnalate in aumento. Ne trae piacere, conosce uomini, si fa portare a letto, ma al mattino non parla, troppa fatica essere coerente con la maschera della sera prima. Il terapeuta presto scopre che: il padre era prepotente e considerava Livia un’idiota e lei oggi è d’accordo. Inoltre è cresciuta con l’idea di dover rendere felici tutti, ma alla fine della giornata non sa più cosa vuole per sé. Costruirsi avatar la consola: gratificazione virtuale e sesso reale a costo basso, nessuno di cui dovere prendersi cura. Il verdetto finale glielo dà lo specchio: chi sei? Cosa vali? Spietate le risposte: nessuno e niente.
Alla fine si tratta di scegliere: la sincerità, ben dosata, rinsalda la generazione successiva. Mentire è un gioco bellissimo, ottimo per individuarsi. Ma anche per avere mille rapporti gratificanti a breve e nessun futuro.