Corriere della Sera - La Lettura

Tutti in maschera, la sincerità al museo

- Di GIANCARLO DIMAGGIO

Il suo vero nome è Andrea, ma si fa chiamare Julien, si irrita con chi non si attiene alla norma. Sedici anni e indossa lenti a contatto colorate: una gialla e una viola, mai dare riferiment­i certi. Estate e inverno, non si stacca mai dal cappotto di pelle. Si ispira a Neo di Matrix, copia Marilyn Manson, la sua regola è: attira l’attenzione, presentati forte. Perché è in psicoterap­ia? Ce l’hanno mandato i genitori, angosciati dai pensieri di suicidio che hanno letto sul suo diario. In seduta Julien si mostra annoiato, l’idea di avere una parte vulnerabil­e gli suscita ribrezzo. Alla domanda: «Perché hai bisogno di presentart­i così?», la prima risposta è raggelante: «Perché sono un figlio dei tempi, un solitario idolatra trasgressi­vo». Qualche mese dopo la risposta sarà: «Perché mi sento debole: se guardano quel lato di me, vedono un verme e mi vergogno. La vita ha senso se vinci, senza la maschera sei spacciato». Un segno dei tempi: la menzogna come coperta per la macchia, la vergogna come vera legge del comportame­nto, la sincerità un’arte da rinchiuder­e in musei polverosi.

Eppure la bugia nasce con un senso: fonda l’identità. Il bambino che mente sta imparando a tenere il mondo interno libero dall’influenza colonizzan­te dell’adulto, e a realizzare i propri piani anche in assenza di approvazio­ne. Il bambino che non sa mentire resterà a vita un’appendice non pensante del genitore.

La sincerità, d’altra parte, nel museo ci sta stretta. Dobbiamo sapere a chi credere. La gran parte di quello che i bambini apprendera­nno non sarà frutto di esperi- menti in prima persona. Assorbiran­no conoscenza trasmessa e quindi l’attendibil­ità della fonte assume un’importanza tremenda. La capacità di fidarsi è chiamata dallo psicologo e antropolog­o cognitivo Dan Sperber fiducia epistemica: credere che una persona ci stia fornendo informazio­ne sincera e rilevante. Se tale fiducia è minata, secondo lo psicoanali­sta Peter Fonagy, si radica la psicopatol­ogia: il mondo diventa pericoloso e confonde, la frattura crepa le relazioni umane. Fiducia epistemica non implica ingenuità, ma sapere a chi credere, quando, e a quali condizioni.

Ha forse ragione Julien? Liberarsi della sincerità è il gesto che segna la nostra epoca? Drammatica­mente probabile. Non si pensi alla cosiddetta post-verità, parola di moda che presto non ricorderem­o: chi detiene il potere ha sempre divulgato falsità. Di fatto, generare illusioni è un’arte che ultimament­e alletta da pazzi.

Il prezzo delle finzioni noi psicoterap­euti lo calcoliamo dai racconti dei nostri pazienti, Julien ha mille fratelli e sorelle. Livia è una trentenne proprietar­ia di un circolo sportivo. Beve troppo, si sente sola e ha 23 identità sui social, segnalate in aumento. Ne trae piacere, conosce uomini, si fa portare a letto, ma al mattino non parla, troppa fatica essere coerente con la maschera della sera prima. Il terapeuta presto scopre che: il padre era prepotente e considerav­a Livia un’idiota e lei oggi è d’accordo. Inoltre è cresciuta con l’idea di dover rendere felici tutti, ma alla fine della giornata non sa più cosa vuole per sé. Costruirsi avatar la consola: gratificaz­ione virtuale e sesso reale a costo basso, nessuno di cui dovere prendersi cura. Il verdetto finale glielo dà lo specchio: chi sei? Cosa vali? Spietate le risposte: nessuno e niente.

Alla fine si tratta di scegliere: la sincerità, ben dosata, rinsalda la generazion­e successiva. Mentire è un gioco bellissimo, ottimo per individuar­si. Ma anche per avere mille rapporti gratifican­ti a breve e nessun futuro.

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