Corriere della Sera - La Lettura
Guerre e abusi, Pigmei sotto assedio
Aka, Baka, Bakola, Bedzan, Mbuti, Twa. Sono alcuni nomi con cui sono conosciuti i gruppi di una popolazione di qualche centinaio di migliaia di individui distribuita in comunità isolate su un’enorme estensione di territorio, nelle regioni centrali dell’Africa, suddivisa fra Camerun, Guinea Equatoriale, Gabon, Centrafrica, Congo Brazzaville, Repubblica democratica del Congo, Ruanda, Burundi. Un piccolo popolo di gente piccola (foto Afp), la statura media degli uomini adulti è intorno ai 150 centimetri, tanto che gli europei li chiamavano Pigmei, dalla parola usata nella mitologia greca per gli gnomi.
È un popolo ancora oggi associato al mondo della foresta (in qualche caso alla savana). Le comunità possono essere considerate come sopravvivenze di una popolazione ben più ampia che in antico occupava le regioni tropicali ed equatoriali, poi ridotta e sospinta in recessi remoti dal sopraggiungere di ondate migratorie che hanno mutato il quadro umano di queste regioni.
Nei classici dell’antropologia, i cosiddetti pigmei erano descritti come cacciatori-raccoglitori, che vivevano cioè sfruttando solamente gli animali e vegetali della foresta, in un delicato equilibrio produttivo che escludeva l’agricoltura, organizzati in piccole unità sociali di poche decine di individui, con scarsa gerarchia interna: quelle che gli antropologi definiscono «bande». Un adattamento antichissimo al mondo chiuso, buio e difficile della foresta pluviale sarebbe all’origine della loro morfologia fisica così particolare. in
Ma il quadro storico è più complesso della rappresentazione antropologica, così come molto complessi sono i rapporti fra questi piccoli uomini e le comunità di agricoltori che da epoche remote sono andate insediandosi nelle regioni di foresta, introducendovi forme diverse di organizzazione sociale e produttiva, nuove tecnologie, nuovi elementi culturali. Spesso cacciati, disprezzati, ridotti in schiavitù dai loro vicini, in altri casi hanno svi- luppato con loro rapporti funzionali alla convivenza. Pur cercando di difendere la propria autonomia, spesso attraverso l’isolamento parziale o totale, si sono tuttavia adattati alle nuove situazioni: ad esempio hanno abbandonato le proprie lingue per adottare quelle dei nuovi arrivati e oggi le loro comunità parlano tutte, ormai da epoche lontane, le lingue usate dai vicini «alti».
La competizione per il controllo delle risorse forestali li ha visti perdenti. Nel corso dell’ultimo cinquantennio il loro modo di vita è giunto al tracollo, incalzato dalla deforestazione provocata dal boom demografico, dall’espansione dell’agricoltura e delle miniere, dallo sfruttamento intensivo delle ricchezze naturali.
A partire dagli anni Novanta, i conflitti etnici in Ruanda e le devastanti guerre del Congo hanno dato il colpo di grazia a molte comunità, vittime di abusi, espulsioni, massacri a opera di fazioni in lotta o comunità vicine, spesso interessate al controllo delle risorse della foresta. Il prezzo pagato alla guerra da questa gente è stato altissimo e il contesto di disprezzo, discriminazione ed emarginazione che ancora la circonda si traduce in una minaccia per la sua sopravvivenza come collettività, aggravata dalla mancanza di sensibilità da parte dei governi, che in vari casi si rifiutano ad esempio di riconoscere i gruppi dei cosiddetti pigmei come comunità autoctone con diritti sulle terre che abitano.
Mai come oggi il mondo dei piccoli uomini della foresta africana ha corso il pericolo d’estinzione.