Corriere della Sera - La Lettura

Tohono O’odham divisi dal muro di Trump

- Da Kitt Peak (Stati Uniti) GUIDO OLIMPIO

Non appena Donald Trump ha avviato il progetto per il muro, i Tohono O’odham sono insorti. E hanno lanciato la loro sfida al governo federale assumendo un nuovo nome: gli indivisibi­li. Parola chiara. La «nazione» nativa-americana non vuole che il piano della Casa Bianca spezzi in due la comunità: su 34 mila membri della tribù la metà risiede nel sud dell’Arizona, altri duemila sul lato sud della frontiera, in Messico.

I due territori si toccano per circa 75 miglia, divisi da una semplice barriera anti-veicoli, nota come Normandy (nella foto qui accanto). Un ostacolo troppo basso e inefficace per fermare il gigantesco traffico di droga e clandestin­i. La riserva è infatti uno dei principali corridoi usati dai cartelli messicani per spedire qualsiasi cosa verso il mercato statuniten­se. Marijuana, anfetamine, braccia per il lavoro. Un’area desolata con numerose alture dove si nascondono gli scout narcos, vedette armate di binocoli, radiotrasm­ittenti e pannelli solari che gui dano dal l ’a l to i l passaggi o degl i s pal l oni . Un network favorito da un territorio tanto selvaggio e inospitale quanto affascinan­te. Che abbiamo visitato diverse volte, anche in compagnia di indiani ingaggiati dalla polizia per seguire le orme dei contrabban­dieri.

È il nuovo West ma sembra quello vecchio. Con in mezzo i Tohono, il «popolo del deserto». Gli altri esseri umani sono i migranti, colonne di messicani e centroamer­icani in marcia verso il sogno statuniten­se. Non pochi perdono la vita lungo il «cammino del Diavolo, fal- ciati dal caldo, dalla sete, dall’ipotermia. Poveri cristi abbandonat­i dai «coyote», le guide, al loro destino. Nel 2016 sono stati trovati i resti di 85 di loro. Chissà quanti non verranno mai recuperati. Ma nonostante il pericolo ci provano comunque, in alcuni casi costretti a portare sulle spalle carichi di «erba», di fatto un ticket di ingresso incassato dall’organizzaz­ione di El Chapo Guzmán, dominante nella regione. Dunque è com- prensibile la mossa del Dipartimen­to per la sicurezza, deciso a tappare questa falla, sostituend­o la recinzione con una vera muraglia. Ma per farlo deve avere il consenso del clan tribale, per nulla favorevole in quanto — afferma — impedirebb­e i contatti tra le due anime della nazione, una tradizione favorita anche da tre «porte» sul confine che vengono aperte in occasione di ricorrenze.

In febbraio il Consiglio ha votato il primo no al progetto federale, un’opposizion­e rafforzata dal sostegno dell’unione nazionale dei nativi. Poi i capi si sono mossi chiedendo aiuto ai rappresent­anti del Congresso ricordando che qualsiasi iniziativa che investa il territorio presuppone un intervento parlamenta­re. Perché ci sono accordi storici che tutelano l’enclave. Una partita complicata, con l’intervento di esperti legali. I nativi, a quanti sottolinea­no come la zona sia un paradiso per i criminali, rispondono di essersi impegnati a fondo. I loro agenti pattuglian­o le strade più remote e il Consiglio ha concesso alla Border Patrol di creare un proprio apparato di sicurezza, con sentieri speciali, postazioni mobili e un avamposto, a Papago Farms.

Qui gli agenti statuniten­si hanno creato una piccola base che ricorda i fortini della cavalleria: realizzata in un angolo lontano, nei pressi del confine, aiuta le guardie a vegliare sulle rotte degli stupefacen­ti. In poche parole i Tohono dicono di aver già pagato il loro prezzo e non vogliono supplement­i.

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