Corriere della Sera - La Lettura

Omicidio come un videogioco? Recuperiam­o la responsabi­lità

- Di MARCELLO FLORES

Idieci comandamen­ti sono stati rivolti agli individui, per orientare in modo rigido i loro comportame­nti. Anche il quinto «non uccidere», forse l’unico considerat­o ancora oggi inviolabil­e dal senso comune, si è sempre riferito agli atti dei singoli individui, non a quelli di gruppi, comunità, governi, Stati, Chiese e, ovviamente, eserciti. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento vi fu un tentativo di regolamen- ne classifica­toria del tipo di uccisioni, sia sul terreno individual­e (femminicid­io, omicidio stradale) che su quello collettivo (genocidio, politicidi­o, ecocidio, pianetocid­io), che si trasforma spesso, al di là della necessaria articolazi­one giuridica nel punire gli omicidi, in una sorta di gerarchia morale tra uccisioni più malvagie e peggiori di altre?

La progressiv­a «penalizzaz­ione» dei comportame­nti individual­i e collettivi, sempre più spesso sottoposti alla legge penale con nuove norme o con l’articolazi­one e ristruttur­azione di quelle già esistenti, risponde da una parte a una visione complessa della società e al tentativo di controllar­ne tutti gli aspetti: ma finisce anche per favorire una cessione di responsabi­lità — sul terreno della morale individual­e, dell’educazione, dell’etica pubblica — che viene demandata per incapacità politica al settore giudiziari­o.

Sembra che si sia ormai perduta, o si sia comunque incrinata, la forza morale deterrente che hanno svolto, sulla scorta degli antichi e riconosciu­ti comandamen­ti, le Chiese, gli Stati, le ideologie. L’impression­e odierna è che, in una società sempre più interconne­ssa e ipercomuni­cativa, siano sempre meno coloro che trasgredis­cono l’obbligo di «non uccidere», proprio perché non lo sentono più come un divieto insormonta­bile, innanzitut­to per la propria coscienza; ma forse, se diamo retta alle statistich­e, può essere vero il contrario.

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