Corriere della Sera - La Lettura
Notizie-servizi-gadget Il «New York Times» seduce gli abbonati
Il quotidiano americano evolve verso un nuovo modello di prodotto giornalistico digitale. Ecco come (anche grazie a Trump)
«Il giornale di carta è ancora il pilastro centrale della nostra impresa: copre i due terzi del fatturato. Ma il fut uro è di g i t a l e . L e s f i de economiche e professionali sono enormi: a cominciare dall’evoluzione culturale del nostro modo di fare giornalismo. Intanto un cambio di tono: servirà uno stile sempre più conversativo per coinvolgere il lettore, favorire un rapporto interattivo. E poi un modo più visuale di raccontare le nostre storie. Immagini e video sono sempre più centrali. Noi non siamo e non diventeremo mai una televisione, ma non siamo nemmeno ancorati al modo tradizionale di produrre testi. Siamo i pionieri di un sistema informativo più integrato con una capacità di combinare testi, foto, grafica e video che nessun altro gruppo editoriale ha». Nella torre dell’Ottava Avenue disegnata da Renzo Piano per il «New York Times» e descritta per anni come una fortezza assediata, oggi si respira un’aria più distesa. Lo vedi dall’espressione di Joseph Kahn, il managing director che racconta a «la Lettura» i piani di rilancio del più autorevole giornale del mondo. Ma lo percepisci anche girando per i corridoi: per la prima volta, dopo anni di tentativi infruttuosi di trovare un nuovo business model sostenibile, c’è la sensazione di aver imboccato la strada giusta.
Niente euforia, sia chiaro, perché il fenomeno planetario del crollo delle entrate pubblicitarie è un macigno che pesa anche sui conti del «Times» e perché il 2020 Report, il documento interno sulle prospettive dell’azienda editoriale, indica comunque la necessità di ridimensionare in misura significativa una redazione tuttora forte di oltre 1.300 giornalisti. Ma per la prima volta viene descritto in modo coerente un cambiamento di rotta — il più significativo nei 165 anni di storia del giornale — e vengono indicate compatibilità economiche realistiche.
In sostanza il «New York Times» evolve verso un modello di prodotto giornalistico digitale basato sugli abbonamenti molto più che sulla pubblicità. Un pro- dotto che, sempre più, offrirà agli utenti non solo informazione, ma anche una ricca gamma di servizi online, secondo il modello sperimentato da altri marchi televisivi e dell’intrattenimento digitale, da Hbo a Netflix. Servizi gratuiti, dalle ricette di cucina ai cruciverba, al fitness personalizzato, che servono a fidelizzare e ad allargare la platea dei potenziali abbonati, ai quali si aggiunge una piattaforma di e-commerce per la vendita di gadget, vini, eventi, ma anche viaggi culturali, naturalistici, educativi, per giovani e anziani, compresi camp estivi per studenti. Accompagnati dagli esperti di una testata che vanta una presenza giornalistica in 150 Paesi del mondo.
Quarant’anni fa, quando il giornale, per raccogliere più pubblicità, introdusse inserti dedicati a casa, moda, design e nuove tendenze anche negli acquisti, i custodi dell’antico blasone storsero il naso. Ma da allora il «Times» è passato attraverso varie tempeste: l’editore, Arthur Sulzberger, ha dovuto cedere il «Boston Globe» e anche la partecipazione nella squadra di baseball dei Red Socks. È stato costretto a vendere e riaffittare la nuova sede dell’Ottava Avenue. E, nel momento più difficile, ha addirittura chiesto un prestito di 250 milioni di dollari al miliardario messicano Carlos Slim. Oggi che Sulzberger, dopo vent’anni al vertice, si accinge a passare il testimone al figlio, Arthur Gregg, le cose vanno molto meglio, ma l’azienda non è certo florida e non scandalizza il suo sforzo di restare a galla anche offrendo viaggi per amanti della natura alle Galapagos, per cinefili al Festival del cinema di Venezia, per studenti in Colombia, sui sentieri delle Farc.
Cresce l’impegno anche nel service journalism con la moltiplicazione dei cosiddetti verticals con app per il benessere, la cucina, i suggerimenti per tv e cinema e molto altro ancora, mentre il «Times» ha appena comprato per 30 milioni di dollari Wirecutter, un sito dedicato a nuovi gadget.
Tutte iniziative utili ma di contorno, assicura Joseph Kahn: il cuore dell’attività aziendale resta la produzione di contenu- ti giornalistici di qualità e la loro valorizzazione sulle varie piattaforme.
Il «Rapporto 2020» è centrato sullo sviluppo del digitale che, entro quattro anni, dovrà portare 800 milioni di dollari l’anno nelle casse del giornale. Partiti dai 200 milioni del 2010, l’anno scorso il fatturato digitale ha superato i 500 milioni nonostante la contrazione della pubblicità: merito della forte crescita degli abbonamenti. Dunque è possibile farcela, ma oggi prevale ancora la carta e la redazione rimane organizzata attorno alle sezioni del giornale.
«È vero, scommettiamo sul futuro digitale, ma non dimentichiamo il giornale tradizionale: vogliamo offrire il meglio a chi ama ancora sfogliare la carta. Per questo abbiamo creato il print hub: un team di giornalisti e designer incaricato di ottimizzare l’esperienza di questi lettori. Ma ci sono altri 1.200 redattori che producono informazioni pensando all’utente digitale. Articoli che in genere vanno sul sito prima di arrivare alla carta».
Nessuna distinzione tra articoli per l’edizione stampata e quella digitale per argomenti, lunghezza dei testi, stili